Alzheimer: la situazione italiana e le proposte per migliorarla
Sette buoni motivi e sette proposte per non dimenticare le persone affette da malattia di Alzheimer e i loro caregiver: a elaborarle sono state l’Associazione italiana malattia di Alzheimer e la Società Italiana di Neurologia (SIN) in occasione della giornata mondiale dedicata a questa malattia.
I sette buoni motivi riguardano le problematiche più volte sottolineate nel nostro paese: numeri epidemiologici enormi (1,2 milioni di soggetti con demenza, di cui 700.000 con Alzheimer) e proiezioni di incremento notevole a causa dell’invecchiamento della popolazione; il carico dell’assistenza che grava principalmente sulle donne; l’eterogeneità dei trattamenti tra le diverse regioni italiane; il costo della malattia in capo alle famiglie; la necessità di una strategia d’intervento per il nostro Paese, con piani d’investimento per la gestione dei pazienti anziani; le nuove possibili terapie, da associare a nuovi percorsi di cura. Infine, il tema etico, perché il sistema delle cure deve tutelare anche e soprattutto il rispetto delle persone malate.
La necessità di un cambio di paradigma nell’assistenza
Le proposte riguardano: un piano di interventi strutturali per colmare le attuali lacune, che tenga conto anche dei nuovi farmaci da somministrare nelle fasi di declino cognitivo lieve, con un cambio di paradigma dell’assistenza rispetto a quanto avviene oggi; portare le competenze neurologiche e geriatriche in prossimità del paziente, sfruttando l’opportunità delle Case di comunità previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR); prevedere un sistema di cure intermedie, come gli ospedali di comunità, per il recupero psico-fisico dei pazienti dopo la dimissione ospedaliera; definire una figura di infermiere di famiglia e di comunità; creare un servizio di Assistenza domiciliare integrata (ADI) dedicato all’Alzheimer; riconoscere il ruolo dei caregiver, allineando l’Italia al quadro normativo degli altri paese europei; formare caregiver professionali e offrire sostegno a quelli familiari affinché riescano a gestire adeguatamente le specifiche esigenze di cura dei malati di Alzheimer.
Gioacchino Tedeschi, presidente della Società Italiana di Neurologia e direttore della Clinica neurologica e Neurofisiopatologia dell’AOU Università della Campania “Luigi Vanvitelli” di Napoli, afferma:
Per la prima volta si affacciano all’orizzonte dei possibili farmaci che potrebbero cambiare lo scenario. Il problema che dobbiamo affrontare oggi riguarda innanzitutto l’identificazione di chi può eventualmente essere affidato alle nuove terapie, che hanno dimostrato di essere più efficaci nel decadimento cognitivo lieve in persone che hanno presenza di amiloide nel cervello. Se è vero che la malattia è molto diffusa, non sappiamo esattamente quante persone presentano un decadimento degenerativo lieve, è quindi necessario un importante lavoro di diagnosi differenziale. Fino a quando non avremo i marcatori nel sangue periferico il lavoro sarà molto complesso, l’amiloide può essere documentata infatti da una PET o dall’esame del liquor. È chiaro che sarà necessaria una riorganizzazione del sistema che preveda una interazione più stretta con il territorio, dai medici di medicina generale ai centri in grado di fare la diagnosi, tutto questo per selezionare all’interno di una grande platea, che valutiamo dai 100 a 300mila individui, le persone che potrebbero avvalersi delle nuove terapie”.