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donna medico

Otto marzo e medicina, perché le donne cambieranno la sanità

  • Alessandro Visca
  • Sanità

I medici italiani in servizio sono in maggioranza donne e lo saranno ancor di più nei prossimi anni, ma l’organizzazione della sanità pubblica non ha ancora recepito il cambiamento. Secondo gli ultimi dati della Federazione dell’Ordine dei Medici (Fnomceo), il totale degli iscritti all’Ordine fa registrare una maggioranza di uomini (55%), tuttavia se si considerano i medici attualmente in servizio, ossia quelli al di sotto dei 65 anni d’età, il sorpasso delle donne è già avvenuto: il 54% dei medici sono donne.

“È necessario che anche i sistemi organizzativi si confrontino con questa nuova realtà di una professione principalmente al femminile, soprattutto nelle fasce di età più giovani, e vi si adeguino – ha dichiarato a Quotidiano Sanità, il presidente della Fnomceo Filippo Anelli – Occorre, ad esempio, che si modifichino i contratti, introducendo modalità flessibili di impiego”.

Anche nella Sanità, come in altre professioni e settori della società, ad una presenza sempre maggiore di donne non corrisponde un’analoga rappresentanza del genere femminile nelle posizioni di vertice. Uno schema a “piramide rovesciata”, che rivela la persistenza di un modello culturale ancora difficile da superare.

Ce lo spiega meglio Barbara Garavaglia, ricercatrice responsabile della Struttura di Genetica dei disturbi del movimento e difetti del metabolismo energetico dell’Istituto Neurologico “C. Besta” di Milano e Presidente del CUG (Comitato Unico di Garanzia) dell’Istituto.

Dottoressa Garavaglia qual è attualmente la situazione nel suo istituto per quanto riguarda la parità di genere?

Partiamo dai dati. Come in tutte le realtà sanitarie, le donne al “Besta” sono in numero maggiore degli uomini. Al settembre 2020, il personale in servizio era composto per il 71% da donne. Tuttavia, se consideriamo il personale dirigenziale, le donne non vanno oltre il 57% del totale e se poi consideriamo i direttori di Unità Operativa, le donne solo il 33%. La percentuale diminuisce all’11% se si considera “l’alta dirigenza” (capi dipartimenti gestionali, direttori scientifico, sanitario, amministrativo e generale).

Questa situazione si può visualizzare nello schema a piramide che ha elaborato il CUG e che è stato inserito nel Piano Triennale di Azioni Positive recentemente deliberato dall’Istituto.

 

Presenza femminile per qualifica in un IRCCS lombardo, 2020

Perché le donne dovrebbero essere più presenti a livello dirigenziale?

Perché è a livello dirigenziale che si prendono le decisioni. Un gruppo composto da soli maschi affronterà i problemi con una visione esclusivamente maschile, quindi in tutte le decisioni, sia quelle che riguardano i problemi organizzativi sia quelle più strategiche, mancherà metà della visione complessiva (quella femminile) con cui si possono affrontare i diversi temi. Lo stesso ovviamente accade per un gruppo composto da sole donne.

Può farci un esempio di azioni concrete per andare verso un’effettiva parità fra uomini e donne nelle strutture sanitarie?

Nel 2109 una direttiva del Ministro della Pubblica Amministrazione e del Sottosegretario delegato alle Pari Opportunità ha rafforzato il ruolo dei CUG, obbligando le Pubbliche Amministrazioni e quindi anche le strutture sanitarie pubbliche a dotarsi di piani triennali di azioni positive (PAP) per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne. Al Besta nel 2020 il CUG ha approntato il PAP che è stato deliberato e tra le azioni positive era prevista l’attuazione di un piano organizzativo sul lavoro agile che la Direzione Generale ha deliberato nello scorso dicembre. Questa direttiva consente a tutti i lavoratori autorizzati di poter svolgere per 4 giorni mensili, oppure 8 mezze giornate, il lavoro non in sede. Per i ricercatori sanitari il lavoro agile è consentito per 6 giorni mensili o 12 mezze giornate. Questa possibilità aiuta molto le donne, che sono ancora oggi le principali caregiver, a conciliare il lavoro con le esigenze familiari. Nel PAP sono stati anche inseriti corsi formativi volti a contribuire allo sviluppo di una cultura di genere e corsi di empowerment per le donne.

Secondo lei esistono ancora ostacoli sul piano culturale per il riconoscimento di una effettiva parità di genere?

Direi proprio di sì, la presenza di stereotipi e pregiudizi è visibile a tutti. Le donne ogni giorno sperimentano la maggiore attenzione che viene riservata agli uomini, durante le riunioni di lavoro, quando prendono la parola rispetto alla donna. Spesso viene anche zittita parlandole sopra.  Se prestiamo attenzione questo lo si osserva anche nei dibattiti televisivi. Inoltre, quando si deve scegliere qualcuno per una posizione dirigenziale il pensiero va prima agli uomini e poi alle donne. Ovviamente dovuto sempre alla minore o nulla presenza delle donne nei gruppi decisionali. Anche i curricula sono diversamente valutati a seconda del genere. In un’università statunitense hanno fatto un esperimento molto interessante che la dice lunga sugli stereotipi: a fronte di uno stesso curriculum con un nome maschile e con uno femminile il curriculum del maschio ha avuto sempre una valutazione maggiore da chi li valutava.

Le cose cambieranno con le nuove generazioni?

Credo di sì. Nelle nuove generazioni l’idea della parità fra uomo e donna è molto più naturale. Quando io ho scelto di iscrivermi all’università c’era ancora chi si chiedeva perché una ragazza dovesse pensare a una carriera scientifica invece che puntare a un buon matrimonio…oggi penso che le ragazze abbiano una maggiore consapevolezza dei propri mezzi e difficilmente possono accettare limitazioni o discriminazioni legate al genere.

Quindi è necessario insistere con il lavoro culturale?

Sì, la strada è ancora lunga ma solo impegnandosi nel modificare la cultura si possono ottenere risultati.  A questo proposito vorrei segnalare il webinar “Tutta cuore e cervello. Mind the gap: equilibrio di genere nell’assistenza e nella ricerca sanitaria“, organizzato dalla Fondazione Istituto Neurologico Besta IRCCS e Regione Lombardia, che si svolgerà giovedì 18 Marzo 2021 (dalle ore 14.00 alle 18.00). Programma e modalità iscrizione sono visibili qui

Il nostro obiettivo è promuovere la cultura della diversità – e in particolare della differenza di genere – come valore.

Donne medico, uno stereotipo che cambia e che necessita di strategie al passo con i tempi

a cura di Franca Di Nuovo, Monica Onorati
Esperte di medicina di genere

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha decretato che le donne medico contribuiscono con eccellenza a rendere il sistema sanitario italiano uno dei migliori al mondo, infatti sono moltissime le donne medico che quotidianamente si impegnano con dedizione e con forte spirito di abnegazione nel campo della medicina.

La strada percorsa dalle donne medico per affermare la propria dignità e capacità professionale è stata lunga e a tutt’oggi rimane un terreno impervio e con ostacoli spesso difficili da superare. Le donne si sono affacciate timidamente al mondo della medicina in un’epoca in cui l’ambiente medico era per lo più maschilista, già a partire dall’antichità. Nel IV-V secolo l’antica Grecia vantava il primato femminile nelle scienze mediche.

In Italia, è necessario attendere la fine dell’Ottocento per vedere le donne nelle facoltà di medicina anche se la legge vigente in quel periodo non autorizzava la pratica dell’esercizio professionale alle donne. Oggi la situazione si è rovesciata, il mondo universitario e in particolare la Facoltà di Medicina e Chirurgia è frequentata soprattutto da donne, che rappresentano una realtà in continua crescita e un trend oramai più che consolidato.

Dal 1978, con l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, il numero di donne iscritte a medicina è cresciuto fino a raggiungere nel 2003 il 61% del totale, per poi riscendere in 10 anni al 53%. Il MIUR, nel periodo 2013-2017, ha stimato che, tra gli iscritti all’università, le donne che frequentavano la facoltà di Medicina e Chirurgia erano il 65%.

La loro presenza nel sistema sanitario nazionale è, conseguentemente, in crescita. Secondo la FNOMCeO, nel 2018 le donne medico e le donne odontoiatra rappresentavano il 41% del totale degli iscritti agli ordini professionali. Per quanto riguarda invece la distribuzione dei sessi per fasce di età i dati risultano essere disomogenei. Nella fascia di età tra i 55 ed i 69 anni le donne rappresentano solo il 31% del totale degli iscritti mentre c’è un totale ribaltamento della proporzione nella fascia 25-39 dove le donne rappresentano il 54% del totale.

La tendenza alla femminilizzazione della medicina

Tali dati statistici sono in linea con la tendenza europea alla femminilizzazione della medicina, tendenza che in Italia si sta attuando repentinamente anche attraverso un ricambio generazionale. Alcuni studi epidemiologici hanno evidenziato che l’Italia è il paese, tra quelli della comunità europea, con i medici più anziani (ovvero con la maggiore quota di medici con più di 55 anni) e nei prossimi 10 anni  assisteremo alla completa femminilizzazione della professione medica: molti medici andranno in pensione, sostituiti da una forza lavoro più giovane e soprattutto composta da una maggiore quota di donne.

La situazione è sovrapponibile in Europa tanto è vero che è possibile definire il processo di femminilizzazione della medicina come un fenomeno globale: Regno Unito, Francia e Spagna sono alcuni degli esempi più emblematici del sensibile aumento delle donne medico in sanità. Tra tutte però la Romania si impone come il paese europeo più a misura di donna non solo perché le donne medico sono più numerose (69%), ma anche perché sono più soddisfatte, con una retribuzione adeguata, una carriera brillante e soprattutto a loro dire sono le donne medico meno discriminate in Europa.

Il fenomeno della “femminilizzazione” si riflette inoltre sulle specializzazioni mediche, in maniera sorprendente anche in quelle che tipicamente risentivano di una connotazione maschile, come le branche chirurgiche. Attualmente vi sono specialità come anestesia, pediatria, ostetricia e ginecologia che sono quasi del tutto frequentate da specializzande donne. Nel sistema sanitario nazionale le donne oggi costituiscono il 60% circa del totale del personale medico e se si considera la distribuzione dei ruoli, le donne rappresentano il 33% dei medici e il 73% del personale infermieristico. Oramai è un dato di fatto, il genere femminile sta modificando significativamente il volto della Sanità e inevitabilmente anche le politiche sanitarie dovranno adattarsi al cambio epocale. Si impone, infatti, una trasformazione che costringerà la Sanità italiana a dismettere il modello professionale costruito a misura di uomo e pertanto scevro di quegli obblighi familiari extralavorativi, tipiche del mondo femminile.

I cambiamenti necessari per un’effettiva parità

È giunto il momento di introdurre non solo strategie di work-life balance, ma anche di work life integration. Le iniziative che implementano e mettono in atto politiche di conciliazione casa-lavoro per facilitare e valorizzare il lavoro delle donne sono necessarie, ma vanno riviste e sicuramente non intese esclusivamente al femminile. Per liberare le donne dal macigno che a tutt’oggi le àncora alla gestione familiare, diventa imperativo non parlare più solo di conciliazione casa-lavoro, ma di condivisione casa-lavoro. La collaborazione e il contributo fattivo della figura maschile devono emergere maggiormente alleggerendo il genere femminile dalle mansioni di originaria connotazione. Gli strumenti che riducono o rimodulano il tempo (part-time, banca del tempo o delle ore, flessibilità degli orari, permessi) e gli strumenti che liberano il tempo lavoro (congedi parentali, congedi di maternità e paternità, nidi aziendali, servizi baby-sittering) devono essere proiettati su un binomio uomo-donna interscambiabile. Infatti è solo coinvolgendo l’uomo/padre in prima persona e superando gli stereotipi a cui la società è abituata che si potrà raggiungere una vera condivisione e ripartizione dei compiti familiari extraprofessionali.

E’ verosimile che in assenza di tali trasformazioni socio-culturali, organizzative e professionali e in mancanza di modelli che destrutturino le convenzioni sociali cui siamo erroneamente legati, non sarà possibile favorire l’evoluzione della carriera delle donne. E’ attuale l’annoso problema delle carriere, infatti nella realtà presente, solo una donna su dieci occupa un posto di dirigente medico di struttura complessa, è molto difficile per le donne raggiungere i vertici della professione oppure avere ruoli di responsabilità nelle cabine di regia. Inoltre, non solo la leadership è lontana, ma permangono fenomeni di discriminazione che contribuiscono a rendere le donne medico insoddisfatte sia dal punto di vista professionale sia dal punto di vista economico, impedendo loro di superare gli scalini professionali che permettono di sfondare il famoso e resistentissimo tetto di cristallo.

La femminilizzazione della medicina deve passare sia attraverso la messa in atto di strategie e azioni positive di family-friendly policies, sia attraverso l’abbandono e il superamento dello stereotipo che relega la donna all’interno di paratie stagne.

In conclusione emerge la necessità di ridisegnare le politiche sanitarie su un prototipo di riferimento femminile, tale rimodulazione deve partire anche dalle donne medico che sicuramente saranno capaci di liberarsi dal macigno della gestione familiare e di promuovere e di guidare il cambiamento inevitabile e necessario per migliorare la propria posizione professionale e sociale.

Alessandro Visca
Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.