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Telemedicina, ancora lunga in Italia la strada per una sanità digitale

La pandemia ha accelerato la diffusione di strumenti digitali per la cura e l’assistenza, accelerandone anche la conoscenza e l’uso da parte di cittadini, medici e strutture sanitarie. La Telemedicina è entrata nell’agenda dei decisori politici, tuttavia, il percorso per una sanità digitale post pandemia appare ancora frammentato e di complessa attuazione

Le tecnologie digitali rappresentano per la sanità italiana un’opportunità di miglioramento nella direzione di un sistema sanitario più sostenibile, accessibile, equo ed efficace. La pandemia ha favorito la diffusione di strumenti digitali nel settore health, accelerandone anche la conoscenza e l’uso da parte di cittadini, medici e strutture sanitarie nelle diverse fasi del percorso di cura.

La spesa per la Sanità Digitale è cresciuta del 5% rispetto all’anno precedente, raggiungendo un valore di 1,5 miliardi di euro, pari all’1,2% della spesa sanitaria pubblica. Il digitale è un canale sempre più usato dai cittadini per cercare informazioni sanitarie: il 73% ha cercato in rete informazioni sui corretti stili di vita (rispetto al 60% del 2020) e il 43% si è informato online sulla campagna vaccinale. Ma anche per la prevenzione e il monitoraggio della propria salute, con il 33% dei pazienti che usa App per controllare il proprio stile di vita e più di uno su cinque che utilizza App per ricordarsi di prendere un farmaco (22%) o per monitorare i parametri clinici (21%). La Telemedicina è entrata nell’agenda dei decisori politici, che le hanno dedicato 1 miliardo euro di risorse all’interno del PNRR, e nella quotidianità dei medici, fra i quali la percentuale di utilizzo è passata da poco più del 10% pre-Covid a oltre il 30% durante la crisi sanitaria.

Tuttavia, il percorso per una sanità digitale post pandemia appare ancora frammentato e di complessa attuazione. Questo in sintesi, è quanto emerso dalla Ricerca dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità della School of Management del Politecnico di Milano presentata nel maggio scorso a Milano.

Le competenze digitali dei medici non sono adeguate per utilizzare le potenzialità dei nuovi strumenti

Uno dei punti più critici sono le competenze digitali dei professionisti sanitari, oggi insufficienti per cavalcare i nuovi trend della rivoluzione tecnologica. Il 60% dei medici specialisti e dei medici di medicina generale (MMG) ha sufficienti competenze digitali di base (Digital Literacy), legate all’uso di strumenti digitali nella vita quotidiana, ma solo il 4% ha un livello soddisfacente in tutte le aree delle competenze digitali professionali (eHealth Competences). Un SSN più digitale e connesso, poi, non può prescindere da un’adeguata gestione e valorizzazione dei dati in sanità, ma l’asset principale per la raccolta dei dati sui pazienti, Il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), è ancora poco sfruttato: solo il 38% della popolazione ne ha sentito parlare e solo il 12% è consapevole di averlo utilizzato.

Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità precisa:

Ripartire “connessi” significa utilizzare il digitale per promuovere una più efficace collaborazione fra tutti gli attori dell’ecosistema sanitario e modellare i servizi sanitari sulle esigenze dei cittadini/pazienti a supporto dei professionisti sanitari. Una rivoluzione necessaria che si potrà attuare soltanto sviluppando la cultura e le competenze digitali di professionisti sanitari, cittadini e pazienti, migliorando la governance dei progetti digitali per superare le frammentazioni, valutando i risultati degli investimenti abilitati dalle risorse del PNRR e valorizzando al meglio le best practice”.

Il Fascicolo Sanitario Elettronico, ancora poco utilizzato in Italia

La gestione e la valorizzazione dei dati in Sanità è una delle priorità indicate dal PNRR, ma le potenzialità del principale asset per la raccolta dei dati dei pazienti, il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), sono ancora da cogliere. I Fascicoli, seppur attivati per quasi tutta la popolazione italiana, sono spesso incompleti, privi delle informazioni e dei documenti più utili a medici e pazienti e, secondo una rilevazione svolta in collaborazione con Doxapharma, sono ancora poco conosciuti e utilizzati dagli italiani: solo il 38% ne ha sentito parlare e appena il 12% è consapevole di aver utilizzato lo strumento almeno una volta.

Se si considera il punto di vista dei pazienti cronici o con gravi problemi di salute, coinvolti nella ricerca svolta in collaborazione con AISC, APMARR, FAND, FederASMA, Onconauti e ROPI, la situazione migliora: i pazienti conoscono l’FSE nel 73% dei casi e lo utilizzano nel 37%. I servizi più utilizzati sono l’accesso ai referti online (dal 52% dei cittadini e dall’88% dei pazienti cronici) e alle ricette elettroniche (44% e 88%).

Spiega Paolo Locatelli, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità

La messa a regime del Fascicolo Sanitario Elettronico deve costituire una priorità assoluta per il nostro Sistema Sanitario e deve essere accompagnata da un’adeguata campagna di informazione perché la limitata consapevolezza della sua esistenza fra i cittadini rappresenta la principale barriera a una sua piena diffusione. Affinché il FSE possa diffondersi sarà inoltre importante renderlo più completo, integrato e interoperabile e bisognerà arricchirlo di servizi digitali innovativi e di interesse per la popolazione, come ad esempio i piani di cura”.

I dati del Fascicolo Elettronico per la ricerca, non tutte le Regioni sono pronte

“Un utilizzo dei dati per il quale si sta cercando di far evolvere il Fascicolo Sanitario Elettronico come asse portante della connected care– asserisce Enrica Massella, Responsabile Servizio Gestione degli Ecosistemi AgID –  è l’utilizzo di questi dati per la ricerca. Tuttavia, il periodo pandemico che stiamo tutt’ora vivendo allontana  questo obiettivo e, al momento, l’FSE non è ancora in grado di fornire i dati utili per un data analisys. Ciò sarà possibile quando tutte le Regioni saranno in grado di alimentare il FSE con i dati sanitari dei cittadini, in questo caso, debitamente anonimizzati.  Tuttavia, alcune Regioni come la Lombardia, la Toscana, il Veneto, l’Emilia Romagna, il Trentino e il Piemonte già stanno alimentando di dati il FSE e li utilizzano a livello di connected care legata alla cronicità soprattutto nell’ambito della gestione dei malati nel territorio e nell’ambito dell’analisi dei relativi costi per Comuni e Regioni”.

Cittadini, pazienti e medici più connessi per la ricerca di informazioni e i servizi digitali

Aumenta l’importanza dei canali digitali per ricercare informazioni sanitarie. L’88% dei pazienti si informa sulla propria patologia online e il 73% dei cittadini usa Internet per avere informazioni sulla prevenzione e gli stili di vita. I servizi digitali più utilizzati sono il ritiro online dei documenti clinici (37%, contro il 29% pre-emergenza), la prenotazione online di visite ed esami (26%) e il pagamento online (17%). Il 45% dei cittadini che ha prenotato un vaccino lo ha fatto online (il 29% fra gli over 65). Rispetto alla comunicazione fra medici e pazienti, è stato analizzato anche il punto di vista dei medici specialisti, in collaborazione con AME, FADOI, PKE e SIMFER, e dei medici di medicina generale (MMG), grazie alla collaborazione con la FIMMG. L’email è lo strumento più utilizzato sia dai medici (79% dei MMG e 85% degli specialisti) sia dai pazienti (55%), ma con l’emergenza è cresciuto rapidamente l’impiego di piattaforme di collaborazione da parte dei MMG (54% contro il 12% di prima della crisi Covid), dei medici specialisti (70% contro il 30% in precedenza) e dei pazienti (30% contro l’11%).

Tra gli strumenti digitali che possono essere utilizzati nel sistema sanitario, le App per la salute possono essere un valido supporto nelle fasi di prevenzione, cura e follow up e sono particolarmente apprezzate dai pazienti perché utilizzandole sono più consapevoli della propria patologia e del proprio stato di salute in generale (46%) e perché li aiutano a rispettare il proprio piano di cura (42%). Secondo Emanuele Lettieri, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità

Un’offerta di App certificate come dispositivi medici o di Terapie Digitali favorirebbe la diffusione di questi strumenti e, probabilmente, la maggiore fiducia da parte dei medici nel consigliarle ai propri pazienti. I medici evidenziano come la ridotta chiarezza del processo di validazione clinica di queste applicazioni stia frenando lo sviluppo di un mercato italiano. Serve lavorare anche sulle competenze perché ancora oggi pochi medici hanno ben chiara la differenza tra App per la salute e Terapie Digitali (24% dei MMG e 32% degli specialisti). Rispetto alle Terapie Digitali, i medici specialisti sono interessati a soluzioni per migliorare l’alimentazione (71%) e l’attività fisica (66%), così come l’aderenza alla terapia (60%)”.

“Proprio per una questione di fiducia e tranquillità come AGID, anche in accordo con il Consiglio Nazionale degli Ingegneri, vogliamo definire delle nuove linee di indirizzo inerenti lo sviluppo di strumenti di Telemedicina interoperabili con il FSE, che dovranno contenere i requisiti tecnici cui un device di telemedicina deve essere conforme per poter essere effettivamente destinato alla gestione di dati di qualità che raccolgono e alimentano in sicurezza nel fascicolo le informazioni dell’assistito”, asserisce Enrica Massella.

La Telemedicina sta diventando una pratica effettiva

Spiega Chiara Sgarbossa, Direttrice dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità:

La Telemedicina è entrata finalmente nell’agenda dei decisori politici, che hanno compreso quanto sia fondamentale per garantire la continuità di cure, anche a domicilio, e l’integrazione fra ospedale e territorio. L’accelerazione imposta dalla pandemia e dall’evoluzione normativa ha aumentato anche l’interesse e l’impiego di applicazioni di Telemedicina da parte dei medici. Se prima dell’emergenza il livello di utilizzo superava di poco il 10%, durante l’emergenza è triplicato, superando il 30% per molte applicazioni”.

Il servizio di Telemedicina più utilizzato è il Tele-consulto con medici specialisti (lo usa il 47% degli specialisti e il 39% dei MMG), che attira anche l’interesse in prospettiva di 8 medici su 10. Seguono la Tele-visita (39% degli specialisti e dei MMG) e il Tele-monitoraggio (28% specialisti e 43% MMG). Questi servizi sono ancora poco usati dai pazienti, non tanto per mancanza di interesse ma a causa di un’offerta ancora limitata. La telefonata o la videochiamata di controllo con il medico sono ancora la modalità più utilizzata per il monitoraggio a distanza dello stato di salute (23% dei pazienti). Ancora marginale l’uso di servizi di Telemedicina strutturati, come la Tele-visita con lo specialista (8%), la Tele-riabilitazione (6%), il Tele-monitoraggio dei parametri clinici (4%), che però riscuotono un forte interesse in prospettiva, con percentuali vicine al 90% per il Tele-Monitoraggio e la Tele-visita con lo specialista.

Secondo i medici specialisti, le soluzioni di Telemedicina consentirebbero di organizzare da remoto circa il 20% delle visite di controllo ai pazienti cronici. Idea condivisa anche dai pazienti, per i quali la percentuale di visite da remoto supera il 40% per molte patologie. Nel 2019 solo il 3% delle visite effettuate da medici specialisti con pazienti cronici si è svolto digitalmente. Considerando le stime dei medici specialisti sulle visite remotizzabili (20%) e i soli pazienti con patologie croniche (24 milioni in Italia), l’Osservatorio ha stimato che grazie al potenziamento dei servizi di Telemedicina sarebbe possibile risparmiare 48 milioni di ore ad oggi sprecate in spostamenti evitabili, che sale a quota 66 milioni di ore se si considera che il 35% dei pazienti viene accompagnato dal medico da un caregiver.

Pogliaghi
Silvia Pogliaghi

Giornalista scientifica, specializzata su ICT in sanità.