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Vaccinazione anti-Covid e medici di famiglia: a quali pazienti dare la precedenza?

I MMG possono essere decisivi nella campagna di vaccinazione anti-Covid, occorre però definire con chiarezza i tempi di somministrazione, in relazione alle disponibilità di dosi vaccinali e soprattutto l’ordine di priorità, da definire in base alla vulnerabilità dei pazienti.

La SIMG, Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie ha annunciato che dispone di algoritmi in grado di definire il rischio di fragilità dei pazienti. “Grazie alle numerose pubblicazioni già disponibili e ai consistenti dati registrati in questi undici mesi di pandemia, siamo in grado, attraverso il nostro istituto di ricerca Health Search di fornire indicazioni precise circa le categorie di cittadini che con priorità assoluta devono essere coinvolte nella seconda/terza fase della campagna vaccinale” evidenzia Francesco Lapi, Direttore Ricerca Health Search della SIMG.

Un’iniziativa analoga è stata annunciata dalla FIMMG Federazione Italiana Medici di Medicina Generale, che, in collaborazione con Cittadinanzattiva, si è attivata per mettere a punto una piattaforma con un algoritmo in grado di individuare i pazienti che devono avere la priorità per la vaccinazione anti-Covid, sulla base di parametri quali età e presenza di una o più malattie. La piattaforma sarà resa disponibile a tutti i medici di famiglia.

“L’esigenza oggi è quella di ottimizzare la campagna vaccinale al fine di rendere disponibile il maggior numero possibile di dosi di vaccino per la più ampia quantità di popolazione possibile – sottolinea Claudio Cricelli, Presidente SIMG– La somministrazione dei vaccini a un maggior numero di persone è legata a tre fattori: la quantità di dosi di vaccino disponibili; l’approvazione di diversi tipi di vaccini; la dilazione nel tempo delle seconde dosi. Se le prime due varianti non vengono accelerate, resta solo la terza possibilità. Questa situazione impone due riflessioni: la possibilità di somministrare, per il momento, solo la prima dose di vaccino, al fine di immunizzare un numero più elevato di soggetti; la necessità di definire le priorità tra le persone da vaccinare, tenendo conto delle diverse caratteristiche cliniche e di professioni e mansioni di ciascuno”.

Si può procrastinare la seconda dose?

La SIMG ricorda che i rapporti relativi alla registrazione dei vaccini finora in uso di Pfizer-Biontech e Moderna che prevedono doppia dose dichiarano che la somministrazione della seconda dose non può essere fatta, rispettivamente, prima di tre e quattro settimane; tuttavia, non viene posto alcun limite massimo.

“Non si parla di intervallo massimo tra la prima e la seconda dose – fa notare Cricelli – Questa evidenza scientifica porta alla conclusione che per aumentare l’immunità della popolazione può essere valida anche la somministrazione di una sola dose per il momento, rimandando la seconda dose a un periodo più lungo, come già fatto nel Regno Unito. L’efficacia di una sola dose è del 50% circa, ma il dato più rilevante è che la copertura del vaccino resta molto elevata per gli effetti gravi, lasciando la possibilità che l’infezione possa comunque colpire, ma in forma asintomatica o paucisintomatica. In breve, se l’Autorità sanitaria decidesse di aumentare questa dilazione nelle somministrazioni sarebbe una scelta possibile. Dal punto di vista scientifico ci sono dati che permettono di confermare gli effetti di immunizzazione. È altresì molto importante ricordare invece che i vaccini a Rna messaggero, quali sono Pfizer e Moderna, non sono intercambiabili con vaccini prodotti con tecniche diverse”.

La definizione di vulnerabilità

Da quando esiste il SSN  – ricorda Cricelli – ogni cittadino di questo Paese ha un collegamento stretto con il suo Medico di famiglia che dispone dell’elenco e delle cartelle cliniche di tutti i suoi pazienti. Sono sempre i Medici di Medicina Generale che assistono migliaia di soggetti non autosufficienti e/o non deambulanti che non potrebbero mai recarsi in un centro vaccinale”. Tuttavia, bisogna anche conoscere quanto ogni singola patologia influisca sull’aumento del rischio di complicanze e mortalità. “Nel caso per esempio del diabete è stato dimostrato che il COVID-19 comporta una prognosi più severa e una mortalità 2-3 volte maggiore rispetto ai pazienti non diabetici a causa della concentrazione in questi soggetti di molteplici fattori di rischio quali la presenza di iperglicemia, l’età avanzata e le comorbidità, in particolare ipertensione, obesità e malattie cardiovascolari. Il tasso di mortalità per questi pazienti è secondo solo a quello delle patologie cardiovascolari” ha sottolineato Gerardo Medea, Responsabile della SIMG per il Diabete.

Vedi anche: La situazione dei vaccini nel mondo.

 

Alessandro Visca
Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.