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Amiloidosi cardiaca, conoscerla meglio per curarla in tempo

  • Alessandro Visca
  • Medicina
Claudio Rapezzi, professore ordinario di Cardiologia all'Università di Ferrara spiega cos'è e come si diagnostica l'amiloidosi cardiaca. Di seguito la trascrizione dell'intervista.

Professor Rapezzi, cos’è l’amiloidosi cardiaca e quanto è diffusa questa patologia?

“L’amiloidosi cardiaca è molto diversa dalla maggior parte delle altre malattie cardiovascolari che sono infiammatorie, aterosclerotiche o di origine genetica, in questa “strana” malattia una proteina a un certo punto della vita del paziente cambia conformazione strutturale, perde la struttura ordinata che aveva, diventa una fibrilla e come tale si accumula nei tessuti dell’organismo, tipicamente il cuore, i nervi periferici, il rene.

La malattia si classifica sulla base della proteina che originariamente va incontro a questa trasformazione. Nella pratica clinica si distinguono due tipi di amiloidosi: AL e ATTR. Il primo è il tipo ematologico in cui la proteina precursore è costituita dalle catene leggere prodotte dalle plasmacellule, catene kappa o lambda, che vanno incontro a una degenerazione strutturale e quindi a una precipitazione nei tessuti

L’altra forma è l’amiloidosi collegata alla transtiretina (ATTR), qui la proteina precursore è la transtiretina (TTR), una proteina normalmente prodotta dal fegato che a causa all’invecchiamento o per una mutazione genetica cambia conformazione, diventa fibrilla e precipita.

L’amiloidosi AL è meglio conosciuta perché è studiata da più anni, viene inclusa negli insegnamenti del corso di laurea in medicina, con una chiara connotazione specialistica che è quella ematologica.

L’ATTR, invece, è studiata e conosciuta in dettaglio più recentemente e compresa in diversi ambiti specialistici, che sono, oltre alla cardiologia, la neurologia perché sono interessati i nervi periferici, la nefrologia perché anche i reni possono essere interessati  e la medicina interna perché è una condizione che porta allo scompenso cardiaco.

Abbiamo anche una serie di dati, frutto di studi con scintigrafia, che ci dicono che su 100 anziani (ultraottantenni) che apparentemente non hanno grossi problemi cardiaci e vanno a fare una scintigrafia per cause oncologiche (ad esempio tumori alla prostata o metastasi ossee) fino al 3%, hanno una forma di cardiopatia da amiloidosi collegata alla transtiretina. Si tratta di un numero di persone molto alto.

Possiamo quindi definire questa patologia un problema sanitario emergente. Quanto tempo passa per arrivare dai sintomi alla diagnosi effettiva di amiloidosi?

Il problema è emergente non perché è aumentato il numero di nuovi casi di malattia, ma per il fatto che è aumentata la consapevolezza del medico e quindi la sua capacità di fare diagnosi e questo ha fatto emergere la punta dell’iceberg. Il problema, quindi, è culturale. In medicina si riconosce solo ciò che si conosce, oggi c’è una consapevolezza culturale che su questa patologia è mancata a fino a pochi anni fa, anche perché era una malattia affrontata in diversi ambiti specialistici. Adesso che sappiamo diagnosticarla in modo non invasivo e c’è una terapia anche per la forma ATTR, la voglia di conoscere meglio l’amiloidosi, l’attenzione per questa malattia è aumentata moltissimo.

Per quanto riguarda la diagnosi, se facciamo riferimento agli ultimi dieci anni un paziente con amiloidosi ATTR dal momento della comparsa dei sintomi al momento di una diagnosi certa doveva aspettare in media tre anni o più. Un tempo molto lungo dovuto anche al fatto che vengono consultati almeno tre specialisti per arrivare alla diagnosi.

Questi tempi sono un po’ inferiori per l’amiloidosi AL, ma comunque nell’ordine di un anno e mezzo e questo è particolarmente negativo perché l’amiloidosi AL è un’emergenza internistica, appena diagnosticata va subito aggredita e la possibilità di modificare la storia della malattia dipende strettamente dalla precocità con cui si avvia la chemioterapia.

Per concludere vorrei toccare l’aspetto organizzativo dell’assistenza ai pazienti e quindi vorrei chiederle come è organizzata sul territorio la rete italiana SIC e ANMCO per la presa in carico dei pazienti con amiloidosi cardiaca

Si tratta di un’iniziativa recente che è frutto della collaborazione fra Società Italiana di Cardiologia e Associazione nazionale dei medici cardiologi ospedalieri. L’obiettivo è la cooperazione dei centri specialisticiche su tutto il territorio nazionale seguono i pazienti con questa malattia, per facilitare i flussi di pazienti da un centro periferico a un centro di terzo livello e per fornire a tutti possibilità di consultazione e aggiornamento fra specialisti.

Per diagnosticare correttamente questa malattia occorre un alto grado di sospetto clinico quindi occorre un buon clinico che sospetti la malattia di fronte a un paziente che ha certi sintomi. Gli esami da fare sono piusttosto semplici, alcuni banali esami del sangue per escludere la forma AL, ossia quella ematologica, l’ecocardiogramma per caratterizzare la cardiopatia e soprattutto la scintigrafia con tracciante osseo, una tecnologia di cui dispongono quasi tutte le medicine nucleari. Fino a qualche tempo fa la scintigrafia era indicata prevalentemente per cercare metastasi ossee da carcinoma della prostata o altre lesioni ossee. In questi ultimi anni si è visto che l’amiloidosi, infiltrando il miocardio, è in grado di captare questo radioisotopo, quindi la captazione da parte nel cuore di questo radioisotopo è diventato il marker diagnostico della malattia.

Combinando i risultati della scintigrafia con i test plasmatici urinari per cercare la proteina monoclonale arriviamo alla diagnosi in moltissimi casi senza bisogno di biopsia.

In qualche caso (10-20%) per una certa ambiguità soprattutto dei test ematologici c’è bisogno di una biopsia che però non può essere la biopsia del tessuto periombelicale tipica della amiloidosi ematologica perché nel tessuto per periombelicale e ci sono poche tracce di amiloidosi ATTR, bisogna quindi effettuare una biopsia di ghiandola salivare, oppure miocardica o rettale Si tratta in ogni caso semplici procedure ambulatoriali.

Inoltre va considerato il test genetico. Una volta che il medico ha documentato l’esistenza di un’amiloidosi da transtiretina occorre capire se è associata all’invecchiamento o risultato di una mutazione genica. Il test quindi deve accertare se la transtiretina è normale (wild type) o mutata. Ci sono più di cento mutazioni patogene note, in Italia ci sono sei o sette mutazioni specifiche che tendono a raggrupparsi nei vari territori della penisola. Si tratta quindi un test genetico semplice perché analizza solo un gene, quello della transtiretina. Conoscere l’esistenza di questa mutazione è importante per l’ereditarietà familiare, ma attualmente non ha implicazioni terapeutiche, perché comunque non modifica l’approccio di trattamento.

La rete di assistenza ha lo scopo di coordinare queste procedure necessarie alla diagnosi per far sì che il paziente riceva tutti gli esami chi deve ricevere e per fare in modo che i pazienti che vivono in zone periferiche o in piccoli centri abbiano le stesse possibilità di accedere al trattamento dei pazienti che  vivono in una grande città.

 

Alessandro Visca
Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.