SIMG: “per far fronte alla variante Omicron occorre aggiornare i medici”
L’incremento dei contagi con variante Omicron di SARS-CoV-2 sta mettendo a dura prova l’attività dei medici di famiglia. Per far fronte a questo quadro in continua evoluzione, la SIMG (Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie), sta portando avanti un progetto di formazione continuo della medicina generale attraverso corsi di aggiornamento online serali realizzati periodicamente.
Nel recente webinar “Omicron: la variante diversa” sono stati analizzati nuovi aspetti sull’insorgenza delle varianti ed è stato delineato il corretto comportamento del Medico di Medicina Generale nel processo di diagnosi, gestione ed avvio del paziente a terapie specifiche. Per l’occasione, oltre ai rappresentanti della SIMG, sono intervenuti diversi specialisti, rappresentanti dell’Istituto Superiore di Sanità e Andrea Siddu, Direzione Generale della Prevenzione sanitaria, Ministero della Salute. Secondo Claudio Cricelli, presidente della SIMG:
servono nuove indicazioni ai Medici di Medicina Generale, che stanno lavorando al massimo del loro sforzo professionale. Stiamo affrontando i problemi relativi a questa variante Omicron sin dalla sua comparsa, avvalendoci della collaborazione di numerosi specialisti e delle autorità sanitarie.”
L’approccio al paziente positivo al SARS-CoV-2
Ignazio Grattagliano, Coordinatore SIMG Puglia, spiega: “L’approccio al paziente positivo al SARS-CoV-2 parte da concetti consolidati come il triage telefonico e la telemedicina, utili per diagnosi e monitoraggio. Segue immediatamente una stratificazione del rischio utile per prendere decisioni clinico-terapeutiche, e che rende la medicina sempre più ad personam: vanno valutati durata e severità dei sintomi, la capacità di un ambiente domestico e dei fattori sociali per capire se sia possibile contenere l’infezione a casa oppure si debbano valutare ricovero o approcci terapeutici differenti. In caso di infezione asintomatica sarà sufficiente semplicemente osservazione e monitoraggio. In caso di malattia lieve si procede alla stratificazione del rischio: se è assente o basso si mantiene il solo monitoraggio; se invece fosse alto, scatta l’allerta e si valuta una terapia specifica. Se la malattia è già di grado moderato-severo si passa direttamente al ricovero”.
“L’impatto clinico del Covid è molto spesso proporzionale alla quantità di fattori di rischio presenti e che rendono il soggetto vulnerabile – aggiunge il dottor Grattagliano – Si parte dalla storia e dalla sintomatologia del paziente. Un primo elenco di variabili si può delineare con età, sesso, presenza di malattie respiratorie, malattie dell’apparato cardiocircolatorio, diabete mellito e altre malattie metaboliche, obesità, insufficienza renale cronica, tumori, insufficienza surrenalica, malattie degli organi emopoietici e emoglobinopatie, epatopatie croniche, malattie infiammatorie croniche o autoimmuni, malattie da immunodepressione (anche causate da farmaci immunosoppressori)”.
La stratificazione del rischio
“L’importanza della vaccinazione parte proprio da questo schema che è stato varato nella prima fase della pandemia ma tuttora ancora valido – conferma il dottor Alessandro Rossi Coordinatore SIMG Umbria – Oggi si sono aggiunti i dati relativi alla vaccinazione: il tipo di vaccino, le dosi somministrate, la distanza temporale dalla vaccinazione. Il vaccino resta infatti sempre il principale baluardo per arginare gli effetti più gravi dell’infezione e la contagiosità del virus”.
Monoclonali e antivirali: identikit dei pazienti
Di fronte a un paziente positivo a rischio di evoluzione si possono prescrivere gli anticorpi monoclonali, disponibili in Italia da febbraio 2021, o gli antivirali, di recente approvazione.
“In base alle indicazioni di AIFA, l’identikit del paziente che può essere soggetto ai diversi approcci terapeutici oggi disponibili (monoclonali e antivirali) per gran parte coincide – evidenzia il dottor Grattagliano – In entrambi i casi ci si rivolge a un paziente che presenti le seguenti caratteristiche:
- BMI >30kg/m2 oppure >95 percentile per età e per genere;
- insufficienza renale cronica, incluse dialisi peritoneale o emodialisi;
- diabete mellito non controllato o con complicanze croniche;
- broncopneumopatia cronica ostruttiva e/o altra malattia respiratoria cronica (come asma, fibrosi polmonare, necessità di ossigenoterapia per ragioni differenti da SARS-CoV-2);
- malattia cardio-cerebrovascolare (inclusa ipertensione con concomitante danno d’organo);
- immunodeficienza primitiva o secondaria.
I monoclonali (che devono essere somministrati nei primi 3-5 giorni dall’infezione e non oltre i primi 10, altrimenti perdono di efficacia) altre indicazioni sono l’età avanzata del paziente covid e la presenza concomitante di epatopatia cronica, emoglobinopatie, patologie del neuro sviluppo e patologie neurodegenerative. I nuovi antivirali, riervati a pazineti maggiori di 18 anni sono indirizzati a pazienti Covid con patologia oncologica/oncoematologica in fase attiva. Nel caso in cui il medico di famiglia ravvisi i fattori di rischio adeguati, provvederà a segnalare il paziente al centro specialistico più vicino che avvierà il trattamento opportuno”.
Variante Omicron e anticorpi monoclonali
“Gli studi realizzati nel corso del 2021 hanno certificato una riduzione del rischio di ospedalizzazione tra il 70% e l’80% mediante la somministrazione di anticorpi monoclonali nei primi giorni dell’infezione in soggetti a rischio con covid paucisintomatico – ha sottolineato il professor Andrea Antinori, direttore UOC Immunodeficienze Virali INMI Spallanzani, Roma – Secondo il report AIFA del 4 gennaio, sono più di 30mila le persone trattate in Italia con gli anticorpi monoclonali. Quanto avvenuto in questo ambito nel 2021 è una storia di successo, che vede protagonista la Medicina Generale che ha ben selezionato e indirizzato al trattamento i pazienti. E’ tuttora in fase di valutazione la reale efficacia di questa terapia nell’infezione da variante Omicron”.
L’evoluzione del virus e le novità di Omicron
Le varianti sono un fenomeno fisiologico dei virus, i quali, al contrario dei batteri, mutano solo se replicano. “Il nostro obiettivo è evitare che il virus si replichi, aumentando patogenesi e capacità di mutazione – evidenzia il professor Carlo Federico Perno, Direttore di Microbiologia, Ospedale Bambin Gesù di Roma – Non a caso, Omicron è nata in un Paese dove il tasso di vaccinazione è molto basso. Sul fatto che Omicron rappresenti un’evoluzione benigna non abbiamo ancora alcuna evidenza. Sicuramente sui soggetti vaccinati è meno patogenetica, ma resta più replicativa. L’effetto di queste due tendenze potrebbe essere negativo se l’aumento della replicazione fosse di gran lunga superiore rispetto alla diminuzione della patogenicità”.