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Microbiota intestino

Diverticolosi, qual è il ruolo del microbiota intestinale?

Si è svolto da poco a Bologna il Congresso “Microbiota Revolution 2023. Dalla ricerca alla pratica clinica: a che punto siamo”, realizzato grazie al sostegno non condizionante di Alfasigma. Nel convegno si è evidenziato il passaggio da studi puramente osservazionali sul microbiota a un nuovo approccio incentrato sull’analisi dei meccanismi d’azione della flora batterica e dei possibili effetti della sua modulazione sulla malattia.

Il professor Giovanni Barbara, ordinario di Gastroenterologia, all’Alma Mater Studiorum Università di Bologna e IRCCS Policlinico di Sant’Orsola, direttore scientifico del Congresso, ha affrontato il tema del rapporto fra microbiota e malattia diverticolare.

Professor Barbara, che ruolo può avere il microbiota intestinale nella malattia diverticolare e nello sviluppo di complicanze?

Innanzitutto dobbiamo distinguere diverticolosi e malattia diverticolare. La diverticolosi, ossia la presenza dei diverticoli nella parete del colon, è una condizione molto frequente nella popolazione generale, che può interessare fino al 50% delle persone sopra i 60 anni e di fatto non va considerata una malattia. I diverticoli che personalmente amo definire “rughe dell’intestino” nella maggior parte dei casi non daranno mai problemi nell’arco della vita. Solo una quota limitata, intorno al 10%, dei soggetti che hanno diverticoli vanno incontro alla malattia diverticolare, che può essere sintomatica. I sintomi associati ai diverticoli assomigliano molto ai sintomi della sindrome dell’intestino irritabile, quindi si può riscontrare dolore addominale, localizzato prevalentemente nella fossa iliaca a sinistra, gonfiore addominale e modificazioni dell’alveo che possono essere in senso stitico oppure diarroico. Fino ad arrivare alle temute complicanze della malattia diverticolare, che sono la diverticolite, oppure la formazione di ascessi o fistole.

Da lungo tempo si pensa a un ruolo del microbiota intestinale nella genesi delle complicanze della malattia diverticolare, ma non è mai stato dimostrato con chiarezza. Perché questo concetto è così radicato, nella mente dei clinici? Perché molte delle complicanze di fatto sono di origine batterica, tanto che vengono trattate con l’antibiotico-terapia. Tuttavia solo recentemente siamo arrivati alla definizione di queste alterazioni del microbiota intestinale, mi riferisco a studi che sono stati condotti grazie all’avvento delle metodiche coltura-indipendenti per caratterizzare il microbiota.

Al Policlinico Sant’Orsola IRCCS abbiamo condotto, nel 2017, uno studio e siamo andati a vedere, attraverso l’analisi delle feci, le modificazioni del microbiota nella zona diverticolare e a distanza dai diverticoli. Che cosa è venuto fuori da questo studio? Fondamentalmente che i pazienti con malattia diverticolare hanno delle modificazioni profonde del microbiota intestinale. Intanto, chi ha i diverticoli ha una riduzione significativa di quei gruppi di batteri che sono considerati benefici per l’intestino. Ad esempio, c’è una riduzione di Clostridium Cluster IV o una riduzione di Fusobatteri e Lactobacilli. Se poi andiamo a vedere che cosa succede nella zona dell’intestino dove ci sono i diverticoli rispetto alla zona dove non ci sono i diverticoli, vediamo delle ulteriori alterazioni, con riduzione sempre di quei batteri che hanno proprietà benefiche e un aumento di quei batteri che sono cosiddetti patobiotici, cioè sono potenzialmente dannosi per l’intestino, perché pro-infiammatori.

Quindi questo ci induce a ritenere che il microbiota intestinale possa avere nella malattia diverticolare proprio un ruolo pro-infiammatorio. Nei soggetti predisposti questo disequilibrio della flora batterica intestinale può portare poi alla sintomatologia o alle complicanze. E con predisposizione si intende sia una predisposizione genetica, sia uno stile di vita predisponente alla malattia diverticolare, come nei soggetti che assumono poca frutta e verdura nella loro dieta, oppure prendono farmaci come gli antinfiammatori non steroidei, il cortisone o certi antibiotici.

E questo implica che il microbiota va considerato nella prevenzione della malattia diverticolare o potrebbe essere anche considerato nel trattamento?

In entrambe le situazioni, perché nella prevenzione noi dobbiamo sempre avere un occhio di riguardo per il microbiota, ma questo non riguarda solo la malattia diverticolare, in generale l’equilibrio di questo ecosistema è importante per prevenire tante malattie, intestinali e non. E la prevenzione inizia dalla nascita, perché esiste evidenza che l’allattamento con formula rispetto all’allattamento al seno, il parto cesareo rispetto al parto per via naturale, l’uso di antibiotici o una dieta povera in carboidrati complessi, quindi frutta e verdura, determina un’alterazione dell’equilibrio del microbiota, che può portare a varie malattie, tra le quali si ritiene ci sia anche la malattia diverticolare complicata. Quindi sicuramente il ruolo del microbiota nella prevenzione è importante.

Se poi entriamo nell’ambito del trattamento noi abbiamo tanti strumenti che oggi sono nella mano del clinico, ma anche del paziente, per portare il nostro microbiota verso lo stato di equilibrio. Primo fra tutti è la dieta, perché, come abbiamo già detto, la dieta ricca in carboidrati complessi porta un beneficio sul microbiota intestinale. In che modo? Se noi riduciamo questi carboidrati che sono di fatto la fonte di energia del microbiota intestinale, il microbiota si trova in una condizione di non avere più il substrato per determinare quella biodiversità intestinale molto importante per la salute dell’intestino. E allora che cosa fa il microbiota se non trova le fibre? Di fatto inizia a utilizzare fonti di energia alternative. Tra queste il muco dell’intestino. Il microbiota disbiotico, cioè alterato, inizia a nutrirsi del muco, che è quello strato di protezione presente sulle cellule epiteliali intestinali e quindi si avvicina molto all’epitelio fino ad invaderlo e a determinare l’infiammazione intestinale.

Poi abbiamo altri strumenti che sono i prebiotici, i probiotici e i postbiotici. Su questo tema la letteratura non è molto chiara, abbiamo bisogno di ulteriori studi ben fatti, ben condotti per dimostrare l’efficacia di questi trattamenti, però è promettente, e cioè in alcuni pazienti si riscontra un evidente beneficio sia sui sintomi che sulla malattia complicata.

Si devono considerare poi gli antibiotici, in questo caso intesi come antibiotici non assorbibili, capostipite la rifaximina, perché rifaximina ha due proprietà fondamentali. La prima, ha un effetto antibiotico locale, intestinale, quindi riduce i patobioti. In secondo luogo ha un effetto eubiotico, cioè determina un aumento di quelle popolazioni benefiche per l’intestino, ad esempio Lactobacilli, Bifidobacteri, Fecalibacterium prausnizi, che sono tutti produttori di sostanze antinfiammatorie, inclusi gli acidi grassi a catena corta. E, infine, l’ultimo meccanismo di rifaximina è quello antinfiammatorio, che è indipendente dall’effetto antibiotico, ma attraverso un meccanismo molecolare complesso, riduce la produzione di citochine pro-infiammatorie.

Infine, lo strumento più potente utilizzabile dal clinico è attualmente rappresentato dal trapianto di microbiota fecale. Nello specifico questo strumento non è mai stato utilizzato per la malattia diverticolare, salvo alcuni casi di studio, ma probabilmente potrebbe essere un ulteriore strumento terapeutico che può rimpiazzare un microbiota disbiotico con un microbiota eubiotico. Per cui abbiamo bisogno di ulteriori evidenze in questo settore.

Professor Barbara, lei ha citato la dieta come uno dei fattori chiave per la tutela della salute del microbiota. A questo proposito, oltre al citato apporto di fibre, c’è qualche avvertenza particolare da segnalare?

Ci terrei a segnalare un problema che deriva da un’informazione molto diffusa, ma non scientificamente fondata. Ci sono molti pazienti con diverticoli che sono molto preoccupati dall’assunzione con gli alimenti di semi, noccioline, per cui tolgono i semini dai pomodori, non mangiano i kiwi, tolgono tutti i tipi di semi dalla frutta.

In realtà non esiste nessuna evidenza scientifica che i semi possano generare complicanze della malattia diverticolare. Anzi, c’è uno studio che è stato condotto ormai tanti anni fa, negli Stati Uniti, con migliaia di pazienti che sono stati interrogati sulla loro dieta e addirittura chi mangiava semi, semini, popcorn, noccioline, aveva una protezione nei confronti della malattia diverticolare e delle complicanze. Per cui invito tutti i pazienti con malattia diverticolare a non eliminare i semi dalla loro dieta.

Alessandro Visca
Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.