La depressione rappresenta un’emergenza sanitaria a livello globale con oltre 380 milioni di persone che ne sono affette, e una sfida sul piano clinico. Per rispondere efficacemente a una patologia dalle dimensioni “pandemiche” sono necessarie strategie in grado di ottimizzare l’assistenza dei pazienti, ma anche di migliorare la sensibilizzazione sul tema della salute mentale.
a cura di Claudio Mencacci,
Co-Presidente Società Italiana di Neuropsicofarmacologia, Co-Presidente Società Italiana di Psichiatria Geriatrica, Direttore Emerito Neuroscienze ASST Fatebenefratelli, Milano
La depressione è una grave patologia medica che colpisce nel mondo oltre 380 milioni di persone, è una delle principali sfide globali per la salute mentale ed è la principale causa di disabilità legata alla salute mentale in tutto il mondo. È comune e frequentemente ricorrente, con una prevalenza globale del 4,4-5%. Per molte persone con depressione, l’esordio è tra la metà e la tarda adolescenza (tra i 14-25 anni); la prevalenza mediana a 12 mesi in questa fascia di età è del 4,5%.
Il Disturbo depressivo maggiore (MDD) influisce negativamente sull’istruzione, sulle relazioni e sull’occupazione ed è associato in modo prospettico all’obesità, alle malattie cardiache e alla morte prematura, incluso il suicidio. In questo ultimo ventennio le malattie cardiache sono diminuite attuando strategie di prevenzione efficaci mentre ciò non si è verificato per la depressione nonostante gli sforzi condotti in questi anni per ridurne lo stigma e aumentarne la conoscenza. Si è quindi imposta la necessità di promuovere da parte della WPA (World Psychiatric Association) e di Lancet un’azione congiunta contro la depressione.
Purtroppo, nei Paesi ad alto reddito (UE-USA) circa la metà delle persone che ne soffre non viene diagnosticata o curata; questa percentuale sale all’80-90% nei Paesi a basso e medio reddito. La pandemia Covid-19 ha poi creato ulteriori diseguaglianze e sfide, accrescendone la prevalenza.
L’OMS (Organizzazione Mondiale Sanità) ha comunicato inoltre che sono aumentati i disturbi della sfera mentale: ne soffre circa 1 persona su 8 nel mondo e ad aggravarli è stata la pandemia prima e successivamente le guerre e il cambia mento climatico. In particolare, relativamente alla depressione e all’ansia l’impatto è cresciuto rispettivamente del 28% e del 26% rispetto al periodo pre-Covid.
La depressione rappresenta una crisi sanitaria che richiede risposte a più livelli, rendendo necessarie azioni congiunte per trasformare gli approcci alla cura e alla prevenzione della salute mentale a livello globale.
Sono robusti gli studi che mettono in evidenza come la depressione possa essere prevenuta e curata e come le conseguenze potenzialmente invalidanti possano essere evitate. Pur essendo una condizione comune ha ancora troppi miti che la circondano e che perpetuano l’inazione: questi includono idee sbagliate sul fatto che la depressione sia semplicemente tristezza, segno di debolezza o sia limitata a determinati gruppi culturali. Può colpire chiunque indipendentemente dal sesso, dal background, dalla classe sociale o età e vi è variabilità nei tipi e nella prevalenza dei sintomi e dei segni depressivi tra le culture. Il rischio aumenta in contesti di avversità, tra cui povertà, violenza e discriminazione di genere e razziale.
La depressione riduce le aspettative di vita in media dai 10 ai 14 anni in quanto aumenta sensibilmente sia l’insorgere dei quattro big killer (malattie cardiovascolari malattie polmonari, diabete e tumori) sia l’incidenza di ricadute, ospedalizzazioni e esiti più negativi. Inoltre, la depressione è la causa più comune di suicidio, ed è presente nel 70-80% di persone che muoiono per suicidio nei Paesi ad alto reddito.
Le condizioni di vita e di elevato stress attuali contribuiscono ad aumentare la frequenza di nuovi casi di sviluppo di depressione. Un’indagine condotta in Europa ha dimostrato che i disturbi affettivi comuni, ansia e depressione, hanno una prevalenza del 12% per disturbi di ansia clinicamente significativi e del 5-7% per la depressione maggiore. In Italia una stima a livelli di prevalenza omogenei prevede che disturbi clinicamente rilevanti di ansia e depressione riguardino circa 12 milioni di persone.
Fattori di rischio e prevenzione
Molti fattori sono ritenuti implicati nell’eziopatogenesi della depressione: biologici e psicologici, ambientali e socioculturali. La predisposizione genetica ha un ruolo e sono più a rischio le persone con una storia familiare di depressione; fra i fattori ambientali, sono certamente coinvolti episodi traumatici (lutti, separazioni, perdita del lavoro) così come cambiamenti di vita radicali (traslochi, un cambiamento significativo di lavoro). Anche elementi personologici come la scarsa autostima o la tendenza al pessimismo possono rendere più fragili di fronte agli eventi della vita e nella risposta di adattamento allo stress, facilitando lo sviluppo della malattia. Un fattore di rischio molto importante sono i disturbi del sonno (fattore di rischio e precipitante).
Alcune terapie mediche, così come l’abuso di alcol o sostanze stupefacenti, possono favorire la depressione e lo stesso vale per diverse patologie fra cui per esempio le malattie cardiache e respiratorie, il diabete, i tumori, le malattie autoimmuni o quelle neurologiche come Parkinson e sclerosi multipla.
È un fattore di rischio anche il sesso femminile: la prevalenza della depressione è doppia nelle donne, dove spesso compare più precocemente accompagnandosi a un quadro di sintomi più grave e anche ad altri disturbi psichici come ansia, disturbi del sonno e del comportamento alimentare. Nelle donne hanno certamente un ruolo gli ormoni femminili, che rendono a rischio specialmente i momenti di passaggio come pubertà, gravidanza e puerperio, climaterio e menopausa, ma anche gli stili di vita e il cambiamento del loro ruolo nella società, che oggi le espone più che in passato allo stress fisico ed emotivo del dover gestire vita lavorativa e familiare, conciliando carichi di lavoro sempre maggiori con la cura dei figli e spesso dei genitori sempre più anziani. Fattori di rischio aggiuntivi al femminile sono anche la violenza, fisica e psicologica, di cui le donne sono più spesso vittime; sembra infine poter rendere le donne più vulnerabili alla depressione pure la tendenza femminile a un maggior coinvolgimento emotivo nelle relazioni sociali e affettive.
La prevenzione della depressione, essendo questa malattia multifattoriale, si gioca su tutti gli elementi modificabili che possono aumentarne la probabilità, come per esempio gli stili di vita: una dieta equilibrata, un’attività fisica costante e una corretta igiene del sonno sono elementi fondamentali per avere un buon equilibrio ed essere meno fragili di fronte agli stress e agli eventi negativi della vita, così come l’astensione dal fumo e dall’abuso di alcol e sostanze stupefacenti; coltivare relazioni familiari e personali soddisfacenti è un ulteriore elemento di protezione. La prevenzione secondaria delle ricadute è altrettanto importante e passa soprattutto da una rapida ed efficace individuazione delle prime manifestazioni di un cambiamento nel tono dell’umore e da un intervento tempestivo per ridurne le conseguenze invalidanti.
Sintomi della depressione
La depressione si esprime attraverso una costellazione di sintomi, i più frequenti dei quali sono: perdita di interesse e piacere (anedonia), stanchezza fisica (astenia), disturbi del sonno e dell’appetito, difficoltà di concentrazione, sintomi somatici. Un episodio depressivo non trattato ha solitamente durata di alcuni mesi e tende a recidivare con frequenza crescente nel corso dell’esistenza (60% dopo il primo episodio).
La depressione è una patologia eterogenea che si manifesta con:
- Diversi livelli di gravità;
- Diversi sottotipi definiti qualitativamente;
- Diversa salienza delle varie componenti psicopatologiche;
- Diverse epoche di insorgenza (età, stagioni, fasi della vita riproduttiva nella donna);
- Diversi fattori etiologici riconoscibili;
- Diverse modalità di decorso;
Questa eterogeneità
- Produce scenari epidemiologici molto differenti a seconda del contesto di riferimento;
- Può essere rilevata anche nel singolo paziente da un episodio all’altro;
- È correlata (in modo complesso) con la risposta ai vari interventi terapeutici;
- Riflette (probabilmente) la molteplicità dei fattori di vulnerabilità, precipitanti e protettivi e dei percorsi patogenetici coinvolti.
Siamo davanti a un continuum che va dalla tristezza in risposta ad eventi vitali (emozione primaria) in un crescendo di intensità e durata nel tempo della deflessione del tono dell’umore e degli altri sintomi verso una depressione lieve depressione moderata-depressione grave. Tra tristezza normale e depressione lieve troviamo la forma definita come depressione subclinica (pochissimi sintomi 2-4 lievi prevalentemente di tipo somatico e cognitivo).
Depressione lieve (DSM 5). Sono presenti pochi sintomi, o nessuno, in eccesso rispetto a quelli richiesti per porre la diagnosi; l’intensità dei sintomi causa disagio, ma è gestibile; i sintomi comportano una lieve compromissione del funzionamento sociale o lavorativo.
Depressione moderata. Il numero dei sintomi, l’intensità dei sintomi e/o la compromissione funzionale sono tra “lieve” e “grave”.
Depressione grave. Il numero dei sintomi è sostanzialmente in eccesso rispetto a quello richiesto per porre la diagnosi; l’intensità dei sintomi è causa di grave disagio e non gestibile; i sintomi interferiscono in modo marcato con il funzionamento sociale e lavorativo.
Le TABELLE 1 e 2 indicano i cluster sintomatologici ed i congruenti interventi multidisciplinari consigliati, le figure professionali coinvolte e le strategie a secondo della intensità (sottosoglia, lieve, moderata, grave).
Tabella 1 Gravità del disturbo depressivo per cluster sintomatologici
Tabella 2 Gestione multidisciplinare del disturbo depressivo

*Le soglie dovrebbero avere un chiaro supporto empirico, dovrebbero essere meno generiche possibile e tenere conto della natura dei sintomi in aggiunta al numero
*La qualità delle evidenze a supporto dell’efficacia di alcuni interventi dovrebbe essere migliorata
*I trials dovrebbero essere focalizzati sia sulle differenze che sull’equivalenza dei diversi interventi
*Nella pratica clinica quotidiana, esistono enormi problemi rispetto alla disponibilità di numerosi interventi e di personale formato; HAMD, Hamilton Depression Rating Scale; MMG, Medico di Medicina Generale
Depressione e cognitività
Numerosi studi hanno sottolineato che il disturbo depressivo maggiore è una condizione clinica debilitante anche per la frequente presenza di alterazioni delle funzioni cognitive, tanto che secondo alcuni autori, la depressione maggiore potrebbe persino essere considerata come un vero e proprio disturbo della sfera cognitiva.
Molti pazienti depressi presentano gravi compromissioni della fluenza verbale, delle abilità visuo-spaziali, dell’apprendimento verbale e delle funzioni esecutive. Per alcuni ricercatori il deficit delle funzioni cognitive potrebbe essere presente già prima dell’insorgenza dei sintomi depressivi, rappresentando un fattore di rischio per l’insorgenza della depressione maggiore. La sintomatologia cognitiva è direttamente correlata alla riduzione del funzionamento in ambito lavorativo, scolastico e sociale. I domini cognitivi relativi alla memoria episodica e la velocità di processamento delle informazioni sono maggiormente associati alla gravità dei sintomi depressivi e tendono a essere presenti anche nelle fasi di eutimia.
Inoltre, la riduzione delle abilità cognitive del paziente rende meno efficaci sia gli interventi psicoterapici che gli interventi psicofarmacologici, indipendentemente dalla gravità degli altri sintomi.
Un altro dato rilevante per le conseguenze cliniche e funzionali che ne derivano riguarda la persistenza dei sintomi cognitivi anche dopo la risoluzione dell’episodio depressivo (EDM). In oltre il 40% dei pazienti, i sintomi cognitivi residuano anche al termine dell’EDM, rappresentando il sintomo residuo interepisodico più lamentato dai pazienti.
Benché i sintomi da deficit cognitivo interessino i pazienti con depressione maggiore in tutte le fasce di età, la prevalenza di sintomi cognitivi in corso di EDM nel caso di soggetti di età elevata può rappresentare per il clinico un difficile problema di diagnosi differenziale con i disturbi neuro-cognitivi dovuti a demenza.
Cercando la diagnosi e la cura
I disturbi dell’umore subclinici, lievi e lievi-moderati risultano gestiti prevalentemente nella pratica di Medicina generale (MG). È molto importante che le persone affette da depressione ricevano una diagnosi corretta e vengano avviate precocemente ad un trattamento efficace.
Gli interventi farmacologici
Se la patologia depressiva presenta un decorso naturale cronico ed invalidante, gli interventi farmacologici con antidepressivi hanno prodotto risultati estremamente rilevanti sia nella remissione della fase acuta che nella prevenzione di ulteriori episodi. Un’importante metanalisi ha dimostrato come il trattamento farmacologico riduca del 70% il rischio di ricorrenze.
Le molecole con la maggior mole di dati in questo senso sono gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), gli inibitori della ricaptazione di serotonina e noradrenalina (SNRI) e altre classi farmacologiche che agiscono in modo multimodale (vortioxetina). Più recentemente la scoperta della ketamina (antagonista recettore N-metil-D-aspartato) come efficace antidepressivo ha portato a esketamina spray nasale che fornisce una azione rapida nei pazienti con resistenza al trattamento.
Questi gruppi di molecole presentano un buono spettro di efficacia rispetto ai trattamenti con la prima generazione di antidepressivi triciclici e IMAO (inibitori delle monoaminoossidasi), un profilo sicuramente superiore di tollerabilità e sicurezza. Di recente FDA (Food and Drug Administration) ha approvato la combinazione di destrometorfano+bupropione. Sono numerose le molecole allo studio in fase avanzata tra cui un antagonista dei k recettori oppioidi (aticaprant), psilocybina, gepirone, zuranolone, buprenorfina, oltre a studi sul microbiota intestinale (probiotici).
Se i risultati di molte ricerche svolte in realtà cliniche “controllate” ne testimoniano una amplissima efficacia, in contesti più simili al mondo reale della clinica dei servizi i riscontri emersi appaiono meno confortanti. Le percentuali di remissione al trattamento con un primo antidepressivo sono risultate di poco superiori al 30%, i tassi di risposta ai trattamenti successivi e più complessi sono poi decrescenti, determinando una quota di remissione globale, al termine di tutti gli interventi psicofarmacologici più comuni di poco superiore al 50%.
La mancata remissione al trattamento conduce poi il soggetto ad una diminuzione del funzionamento socio-relazionale, una peggiore prognosi di lungo termine (aumentano episodi di ricorrenze), sono più frequenti i fenomeni di abuso di alcol o sostanze stupefacenti, aumenta l’utilizzo di servizi sanitari ed il rischio di morte per suicidio o per comorbidità con altre patologie mediche (spesso aggravate dalla condizione depressiva).
Questi dati spingono dunque i ricercatori ed i clinici, da una parte a valutare con attenzione nuove strade di intervento farmacologico che possano fornire risultati più soddisfacenti in soggetti che non rispondono ai trattamenti, dall’altra parte a porre maggiore attenzione ai trattamenti non farmacologici da poter affiancare allo standard care allo scopo di migliorare la quantità e qualità della cura proposta.
Psicoterapia
Ci sono voluti altri 20 anni perché emergessero, grazie alle conoscenze fornite dalle neuroscienze, nuove evidenze sull’efficacia anche biologica di interventi psicoterapici nella terapia depressiva. Un intervento psicoterapico, quando efficace, è in grado di produrre modificazioni dell’architettura neuronale del paziente depresso, che appaiono complementari a quelle messi in atto dai trattamenti antidepressivi parimenti efficaci. Molti autori ritengono indicato un trattamento integrato di tipo farmacologico e psicoterapico per quelle condizioni, purtroppo non infrequenti, in cui il solo trattamento farmacologico non risulti soddisfacente.
Altri interventi terapeutici fisici
Allo stato attuale vanno ricordati alcuni trattamenti terapeutici, seppur di minore diffusione, ma di efficacia dimostrata come per esempio l’elettroshock e altri interventi somatici con crescenti evidenze quali la terapia magnetico-transcranica (TMS), la light therapy, la stimolazione del nervo vago e la stimolazione cerebrale profonda. Questi interventi sono indicati nei casi più gravi e resistenti e solitamente necessitano di terapia farmacologia continuativa.
L’intervento terapeutico sugli stili di vita
Recentemente si sono ripresi studi su stile alimentare e sintomi psichici.
I dati più rilevanti riguardano l’implementazione dietetica di un amminoacido essenziale come il triptofano con effetti ipnotici nella somministrazione in acuto e una capacità di modulazione del tono affettivo su periodi prolungati. Altrettanto interessante sembra essere un utilizzo costante di un’alimentazione ricca di acido folico e acidi grassi polinsaturi (omega-3).
Un altro importante elemento di trattamento e prevenzione della patologia depressiva risulta essere la regolare attività fisica. Numerose ricerche indicano l’effetto positivo della regolare attività sia nel condurre, come unico intervento, ad un significativo miglioramento nelle condizioni più lievi che nel favorire una risposta clinica in corso di trattamenti antidepressivi nelle forme più gravi. L’attività fisica regolare, inoltre, produce un effetto protettivo sul rischio di recidiva.
In conclusione favorire il regolare mantenimento di una buona forma fisica produce un effetto di prevenzione primaria e secondaria sulla patologia depressiva. Recenti studi indicano come l’attività fisica (camminare) condotta 3 volte alla settimana per almeno 40-60 minuti possa significativamente ridurre fenomeni di decadimento cognitivo con riduzione delle patologie degenerative. L’attività fisica avrebbe un’azione di stimolo sulla neurogenesi a tutte le età.
Conclusioni
L’eterogeneità del disturbo depressivo maggiore necessita lo sviluppo di strategie di trattamenti migliori includendo la stratificazione dei sottogruppi, la predizione dei fattori farmacologici verso una medicina personalizzata e di precisione nel trattamento.
Restano da affrontare sfide fondamentali per garantire che trattamenti efficaci diventino utilizzati nella pratica clinica. In primo luogo la durata dell’effetto dei diversi interventi richiede ulteriori indagini compresa una migliore caratterizzazione dei fattori che la precedono o che potrebbero prevenirla. Importanti sono gli sviluppi di molti agenti con rapida insorgenza di azione oltre ad un aumento della tollerabilità. Molti agenti nuovi ed emergenti potrebbero essere sempre più in grado di curare le persone con depressione difficile da trattare.
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