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Disturbi dell’alimentazione sottostimati nei maschi

Cinzia Bressi, psichiatra esperta della materia, spiega perché è più difficile individuare questi disturbi nel genere maschile

I dati epidemiologici ci dicono che circa il 9% della popolazione mondiale ha sofferto, almeno una volta nella vita, di un disturbo dell’alimentazione, come anoressia nervosa (AN), bulimia nervosa (BN), binge eating disorder (BED) e ARFID (disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo).

Dopo la pandemia di Covid-19 si è registrata anche in Italia una tendenza all’aumento di questi disturbi. L’anoressia nervosa, in particolare, è diventata la seconda causa di morte tra le ragazze tra i 12 e i 17 anni.

Per quanto riguarda la distribuzione di genere la prevalenza è nettamente maggiore nel genere femminile, con un rapporto di circa 10:1 rispetto ai maschi. Tuttavia, il disturbo alimentare nei maschi è ampiamente sottodimensionato, in parte per una mancata formazione degli operatori sanitari, in parte per strumenti diagnostici tarati quasi esclusivamente sul modello femminile, come ci spiega Cinzia Bressi, psichiatra, professoressa associata presso l’Università degli Studi di Milano e dirigente medico presso la Fondazione Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.

Gli strumenti psicometrici attualmente utilizzati sono pensati per rilevare comportamenti tipicamente femminili, come l’amenorrea o la ricerca di un eccesivo dimagramento. Mentre nei maschi la sintomatologia si presenta in modo diverso. Il focus, ad esempio, non è sulla magrezza, ma sulla muscolarità estrema e sull’allenamento compulsivo, caratteristiche tipiche della muscle dysmorphia, una forma ancora poco riconosciuta di dismorfismo corporeo (Pope et al., 1997; Tod et al., 2016). Inoltre, i medici di medicina generale, che spesso sono il primo punto di contatto, non sempre sono formati per riconoscere questi segnali, che possono così passare inosservati e non essere intercettati (Sangha et al., 2019).”

Quale dovrebbe essere, secondo lei, la domanda chiave che un medico dovrebbe porre per avviare il sospetto diagnostico?

Più che una domanda unica, si tratta di stabilire un contesto empatico e osservare. Ad esempio, si può iniziare con: ‘Mi sembra che lei dedichi molto tempo alla cura del corpo e all’allenamento. Quanto spazio occupa questa attività nei suoi pensieri quotidiani?’ Nei maschi, l’ossessione per l’aumento della massa muscolare, associata a un regime alimentare ipercontrollato, è un segnale d’allarme (Olivardia, 2001). Anche domande sul numero di ore passate in palestra e sulla motivazione che guida questi comportamenti possono aiutare. Se il ragazzo si allena sette giorni su sette, per più di due ore al giorno, non siamo più nel campo del fitness, ma in quello della compulsione.”

Quali sono gli strumenti per l’engagement di un paziente maschio con sospetto DNA?

Il passaggio è delicato, soprattutto nei maschi, per via dello stigma. Molti ragazzi non vogliono essere visti come ‘femminili’ o ‘deboli’ in cerca di aiuto. Serve quindi un percorso graduale. Il medico può proporre un colloquio con un esperto in nutrizione sportiva, un collega già formato sui disturbi alimentari maschili. Stabilire una rete tra medico di base, nutrizionista e specialista può essere decisivo. Quando il giovane si sente compreso nei suoi obiettivi, come migliorare la forma fisica, e non giudicato, potrebbe essere più propenso ad accettare l’aiuto.”

Quali sono, invece, le pressioni culturali che favoriscono lo sviluppo di questi disturbi?

Il DNA (Disturbo della Nutrizione e dell’Alimentazione) ha un’origine multifattoriale: genetica, psicologica e sociale. I fattori genetici, seppur importanti, non bastano da soli: è l’ambiente a farli precipitare. Le pressioni iniziano dalla micro-società, ovvero dalla famiglia. Alle ragazze si chiede da sempre di essere belle, magre, compiacenti e performanti. Oggi, questa richiesta si è interiorizzata: le donne cercano potere e controllo attraverso il dominio sul proprio corpo. Ma il prezzo è alto. Alcune riescono a sostenere carriere brillanti mantenendo un BMI di 15, convinte che ciò sia sinonimo di successo, con potenziali effetti dannosi anche sulla salute metabolica (Leone et al., 2023).”

E nei maschi?

Nei maschi il modello cambia. Anche loro sviluppano un sé grandioso, ma il riferimento non è più la madre a dieta, bensì l’ideale maschile dominante: forza, controllo, muscoli. I social media amplificano tutto: mentre per le ragazze ci sono gruppi che inneggiano pericolosamente all’anoressia e alla magrezza, per i ragazzi si celebrano corpi ipermuscolosi, diete iperproteiche, uso di integratori o steroidi (Olivardia, 2001). Il problema è che tutto questo inizia sempre prima: durante la pandemia si sono registrati casi anche a 8-9 anni (Baker et al., 2019).”

Il Medico di medicina generale può avre un ruolo nel contrasto ai disturbi dell’alimentazione?

La medicina generale ha un ruolo cruciale. È il medico di famiglia che può fare la differenza: intercettare precocemente, creare un dialogo e inviare allo specialista. Ma serve una formazione mirata, aggiornata e consapevole della variabilità di genere. In una società che impone ideali irraggiungibili e confonde salute con prestazione, il medico può e deve essere un argine.”

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Pogliaghi
Silvia Pogliaghi

Giornalista scientifica, specializzata su ICT in sanità.

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