Con un’incidenza che varia tra 0,8 e 2,3 nuovi casi ogni 100.000 persone all’anno, l’ipoparatiroidismo è una malattia endocrina rara caratterizzata dalla carenza di paratormone, prodotto dalle ghiandole paratiroidi; in Italia si stima una prevalenza di oltre 10mila pazienti.
Il paratormone è fondamentale per la regolazione dei livelli di calcio nel sangue, pertanto un deficit, totale o parziale, determina una riduzione dei livelli di calcio e un aumento dei livelli di fosfato nel sangue e ha un impatto significativo sulla qualità di vita dei pazienti. Si tratta infatti di una condizione complessa, con sintomi acuti prevalentemente neuromuscolari, come crampi, parestesie, spasmi muscolari e, nei casi più gravi, crisi tetaniche.
Le complicanze a lungo termine riguardano calcificazioni a livello dei tessuti molli, alterazioni cardiovascolari con un aumentato rischio di aritmie e disturbi della conduzione elettrica cardiaca. Inoltre, si riscontra una maggiore incidenza di alterazioni oculari, e un aumento del rischio di infezioni e di insufficienza renale.
Nel 75% dei casi la patologia è associata a danni o rimozione accidentale delle ghiandole paratiroidi durante interventi chirurgici alla tiroide, ma può anche insorgere per disordini autoimmuni. Il restante 25% dei casi appartiene a una forma non secondaria, in piccola parte di natura congenita.
La patologia può tuttavia insorgere in qualsiasi momento della vita, con manifestazioni croniche che possono confondere e ritardare la diagnosi, uno dei principali bisogni insoddisfatti nella gestione della malattia.
Maria Luisa Brandi, specialista in endocrinologia e malattie del metabolismo, spiega:
la malattia può indurre anche notevole confusione mentale e depressione. Spesso, infatti, la sintomatologia del paziente viene confusa con una malattia neuropsichiatrica. Sarebbe importante intercettare questi segnali. Per esempio, sintomi come formicolii, soprattutto periorali, e specialmente in pazienti con una patologia autoimmune, andrebbero approfonditi.”
Nuove opzioni di trattamento
L’ipoparatiroidismo è una condizione cronica che, se non trattata adeguatamente, può causare gravi complicanze e compromettere significativamente la qualità di vita dei pazienti. La gestione della malattia si basa sul controllo dell’ipocalcemia attraverso supplementi di calcio e vitamina D attiva.
Secondo Valentina Camozzi, endocrinologa presso l’Azienda Ospedaliera dell’università di Padova si tratta di trattamenti spesso mal tollerati e non sempre sufficienti a garantire una stabilità della calcemia, il che comporta, per i pazienti, una gestione quotidiana complessa con il rischio costante di crisi ipocalcemiche, ipercalciuria e danni renali.
Un farmaco di recente introduzione è il palopegteriparatide; “grazie al suo rilascio prolungato consente di mantenere i livelli di calcio stabili nell’arco delle 24 ore, riducendo la necessità di supplementi di calcio e migliorando sensibilmente la qualità di vita, contenendo anche i rischi di sviluppare danni ad altri organi” afferma Camozzi.
Il farmaco, non ancora rimborsato in Italia, è stato approvato dall’EMA e dall’FDA, ed è l’unica molecola registrata come terapia sostitutiva.