Ipertensione, nuovi elementi a favore di una terapia più aggressiva
Sul numero del 24 agosto del New England Journal of Medicine compaiono due nuove analisi effettuate sui dati raccolti con lo studio SPRINT (Systolic Blood Pressure Intervention Trial), concluso nel 2015, che aveva mostrato una percentuale significativamente minore di morte ed eventi cardiovascolari in pazienti ad alto rischio trattati con una terapia antipertensiva più aggressiva rispetto a quella indicata dalle linee guida standard. Per questi pazienti il target era la riduzione della pressione sistolica a 120 mmHg, rispetto ai 140 mmHg obiettivo della terapia standard. Il nuovo studio si è posto l’obiettivo di valutare i benefici in termini di qualità di vita per i pazienti e i costi per il sistema sanitario della riduzione più intensa della pressione, rispetto a quella standard.
Adam P. Bress e coll. hanno costruito un modello matematico per valutare nel tempo il rapporto costo beneficio di una terapia intensiva a confronto con una terapia standard, considerando i costi relativi al trattamento e monitoraggio dell’ipertensione, al trattamento degli eventi cardiovascolari e al trattamento di eventuali effetti avversi gravi legati alla terapia. Inoltre con il punteggio QALY (Quality Adjusted Life Years) è stata valutata la combinazione di durata della vita e qualità della stessa. Il guadagno in durata e qualità della vista risulta premiante in termini di costo-beneficio, a fronte dei costi da sostenere per una terapia più aggressiva.
Un altro studio, pubblicato sullo stesso numero del New England, con una modalità analoga allo studio SPRINT, ha diviso random 9361 pazienti ipertesi in due gruppi, con un target di riduzione della pressione a 120 mmHg per il primo gruppo e a 140 mmHg per il secondo. Entrambi i gruppi sono poi stati sottoposti a questionari sull’adesione alla terapia e sullo stato di salute durante la stessa, valutato con l’impiego di diverse scale (Physical Component Summary (PCS), Mental Component Summary (MCS) Patient Health Questionnaire 9-item depression scale (PHQ-9).
I partecipanti allo studio sottoposti a un trattamento intensivo hanno ricevuto in media due farmaci antipertensivi. La pressione sanguigna sistolica è stata di 14,8 mmHg inferiore nel gruppo che ha ricevuto un trattamento intensivo rispetto al gruppo che ha ricevuto un trattamento standard (IC 95%, 14,3-15,4). I punteggi medi dei questionari (PCS, MCS e PHQ-9) erano relativamente stabili nei 3 anni di follow-up, senza differenze significative tra i due gruppi di trattamento. Non sono state osservate differenze significative tra i gruppi di trattamento neppure quando i partecipanti sono stati stratificati secondo misure basali di funzione fisica o cognitiva. La soddisfazione per la cura è stata elevata in entrambi i gruppi di trattamento e non è stata riscontrata alcuna differenza significativa nell’adesione alla terapia.
Il trattamento più aggressivo quindi non comporterebbe particolari svantaggi per la qualità di vita dei pazienti ipertesi.
Un invito alla cautela riguardo a questa indicazione sulla riduzione più accentuata della pressione sistolica viene da una ricerca europea, l’Irish Longitudinal Study on Ageing (TILDA) del Trinity College di Dublino, recentemente pubblicato su JAMA Internal Medicine.
Lo studio, centrato su un target di pazienti con più di 75 anni di età, ha valutato effetti collaterali associabili a una riduzione più importante della pressione sistolica, come cadute, fratture, perdite di conoscenza e sincopi. Seguendo i pazienti per un periodo simile a quello dello studio SPRINT i ricercatori irlandesi hanno trovato una maggiore incidenza di questi effetti collaterali.
Donald Sexton, primo autore dell’articolo, scrive: “SPRINT è stato uno studio di riferimento per il trattamento dell’ipertensione. I benefici del controllo della pressione sanguigna osservati in questo studio non sono in discussione, ma dobbiamo essere consapevoli del fatto che il trial non ha valutato eventi avversi come le cadute che causano lesioni. I medici comunque non devono aspettarsi nella pratica clinica un tasso di eventi avversi simile a quello riscontrato da noi con i pazienti più anziani. Nel complesso, quello che diciamo è che i rischi e i benefici dell’abbassamento della pressione sanguigna devono essere individualizzati per ciascun paziente “.