Lo scompenso cardiaco è una condizione ad alto rischio per i pazienti e una patologia che grava sulla spesa sanitaria per le frequenti ospedalizzazioni. Le indicazioni sulla gravità della patologia e sui possibili sviluppi sono una base importante per predisporre la migliore strategia terapeutica.
Il lavoro di un gruppo di ricercatori italiani ha portato a identificare tre biomarcatori che, valutati insieme, possono fornire un’attendibile predizione sull’evoluzione dello sviluppo dello scompenso e soprattutto del rischio che il paziente debba ricorrere a cure ospedaliere.
Lo studio dei ricercatori della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e della Fondazione Toscana Gabriele Monasterio (Michele Emdin, Alberto Aimo, Claudio Passino, Giuseppe Vergaro, Andrea Ripoli) in collaborazione con importanti centri di ricerca europei e americani è stato pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology.
Analizzando i dati di 4 studi europei e americani, che coinvolgono 4.268 pazienti, i ricercatori italiani hanno dimostrato che il dosaggio ematico di tre biomarcatori (il recettore solubile Sst2, l’ormone cardiaco Nt-probnp e la proteina cardiaca troponina T dosata con metodiche ad alta sensibilità) permettono individuare gruppi di pazienti con diverso grado di rischio (elevato, intermedio, basso).
I biomarker sono: il recettore solubile Sst2, un indicatore del processo di fibrosi del cuore, l’ormone cardiaco Nt-probnp, indice di scompenso emodinamico e la proteina cardiaca troponina T.
“Il dosaggio di Sst2 – spiegano gli autori – è un nuovo strumento che si aggiunge all’ormone Nt-probnp e alla troponina. Questo dosaggio comunemente impiegato per la diagnosi di infarto miocardico acuto potrebbe pertanto essere utilmente impiegato anche nello scompenso cardiaco”.
“L’osservazione è assolutamente originale – sottolineano Michele Emdin e Claudio Passino – e ha avuto ampia risonanza nel mondo cardiologico internazionale. I risultati pubblicati confermano il valore della combinazione fra i tre biomarcatori per la valutazione integrata del paziente cardiopatico e la messa a punto di nuovi strumenti di diagnosi e cura di una delle patologie più frequenti e pericolose”.