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Studi clinici, come salvarli al tempo della pandemia

La pandemia di SARS-Cov-2 sta mettendo in pericolo il regolare svolgimento di centinaia di migliaia di studi clinici, con un potenziale grave danno per il progresso della medicina nei prossimi anni.

Lo evidenziano, in un editoriale pubblicato il 25 marzo su JAMA, Mary M. McDermott, della Feinberg School of Medicine, Northwestern University, Chicago (Usa) e Anne B. Newman, del Department of Epidemiology, University of Pittsburgh (Usa).

Le autrici ricordano che sul database americano Trials.gov risultano registrati più di 260mila studi clinici randomizzati in corso .

In seguito alla pandemia di Covid-19 il National Institutes of Health degli Stati Uniti ha consigliato ai ricercatori di valutare  le misure per proteggere i partecipanti ai trials e il personale di ricerca. Alcuni centri hanno deciso di interrompere le sperimentazioni sull’uomo.

Le misure di limitazione nei movimenti e di isolamento sociale minacciano il regolare svolgimento degli studi, che spesso coinvolgono pazienti anziani e con malattie croniche, ossia le fasce più a rischio di contagio.

Come salvare gli studi in corso

Gli studi in corso, ricordano le autrici, hanno la possibilità di portare benefici a milioni di persone con malattie croniche debilitanti molto tempo dopo la fine della pandemia di coronavirus. Inoltre, la sospensione dei trials in corso comporterebbe lo spreco delle risorse già investite. Pertanto sembra più ragionevole cercare le modalità per proseguire gli studi in sicurezza, adeguando protocolli e modalità di svolgimento dei trial.

Tendono conto della grande differenza fra le tipologie di pazienti coinvolti, che vanno dai malati oncologici terminali a persone con patologie meno gravi, le autrici cercano di fornire indicazioni utili per proseguire i trials in sicurezza

Il primo punto è informare i pazienti sulle misure adottate per l’emergenza determinata dalla pandemia. sUna corretta comunicazione ai partecipanti allo studio –  scrivono le autrici – può contribuire a scongiurare l’abbandono o la non aderenza allo studio dei pazienti. I partecipanti vanno convinti che il loro coinvolgimento nello studio rimane importante, anche durante la pandemia.

Un altro accorgimento suggerito è quello di concentrarsi sull’outcome primario dello studio, cercando di semplificare il metodo di raccolta dei dati. Ove possibile si può eseguire la raccolta dati da remoto, per esempio attraverso questionari telefonici, oppure utilizzando Skype, se è indispensabile l’incontro fisico si possono vedere i pazienti al di fuori degli ambulatori. Un’altra possibilità è quella di prolungare i tempi previsti, ad esempio nella somministrazione di un farmaco, in modo da poter effettuare le verifiche finali dopo la pandemia.

Infine le autrici invitano i centri di ricerca a considerare anche gli effetti della sospensione degli studi sui ricercatori, che spesso hanno incarichi a termine e potrebbero perdere il lavoro.

“Gli studi clinici randomizzati  – concludono McDermott e Newman – richiedono anni per il progetto, il finanziamento e lo svolgimento, ma sono essenziali per migliorare la salute e prevenire la disabilità. Si spera che gli effetti della pandemia di coronavirus sugli studi randomizzati saranno di breve durata, considerando ai benefici a lungo termine di questi studi per milioni di persone che continueranno a convivere con malattie mediche debilitanti anche dopo la fine della crisi. Per massimizzare i benefici per la salute pubblica, sono richieste creatività e perseveranza, specialmente durante questi tempi senza precedenti e incerti.”

Alessandro Visca
Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.