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Esercizio fisico, le differenze di genere nella pratica sportiva

Elisa Lodi1,2, Lucio D’Antonio1,2, Tommaso Lazzarini3, Giulia Lodi4, Maria Grazia Modena1,2

  1. Centro P.A.S.C.I.A. (Programma Assistenziale Scompenso cardiaco, Cardiopatie dell’Infanzia e A rischio), AOU Policlinico di Modena, Modena
  2. Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Modena
  3. A.S.D. “La Fratellanza 1874”, Modena
  4. U.O. Ortopedia e Traumatologia, ospedale Ramazzini Carpi, AUSL Modena

Gli innumerevoli benefici della pratica regolare di attività fisica sono ormai ampiamente conosciuti, tuttavia, affinché l’attività fisica sia svolta in modo ottimale e sicuro, è sempre necessario tenere conto delle caratteristiche individuali del soggetto che la svolge. Pertanto, se è vero che lo sport fa indubitabilmente bene a tutti, è altrettanto vero che non tutti gli sport sono indicati in maniera indiscriminata per ciascun individuo.

Tradizionalmente, l’esercizio fisico è stato considerato con un’impostazione “androcentrica”, come se fosse un appannaggio esclusivamente dell’uomo, ed infatti la maggior parte delle conoscenze disponibili sull’allenamento sono derivate da studi condotti principalmente su atleti maschi. Tuttavia, la ricerca scientifica ha ormai ampiamente dimostrato l’esistenza di differenze tra uomini e donne nel contesto di diversi ambiti dell’esercizio fisico, sia in termini di performance atletica che di risposta e adattamento all’esercizio fisico.

Prestazione atletica

Uomini e donne si distinguono per caratteristiche anatomiche e fisiologiche che vanno ben oltre i caratteri sessuali primari e secondari. Dal punto di vista sportivo, è noto che gli uomini sono dotati di caratteristiche che li rendono capaci di prestazioni sportive superiori rispetto alla controparte femminile. L’analisi dei record del mondo di atletica leggera rappresenta un metodo semplice e diretto per quantificare tale differenza in termini di performance (1).

Le prestazioni realizzate in queste discipline sono misurabili in termini di tempo o distanza e, quindi, oggettivamente confrontabili. Inoltre, l’atletica leggera comprende specialità che spaziano dalla pura espressione di potenza, ad altre che richiedono una competenza prevalentemente aerobica e molte ancora con caratteristiche intermedie, consentendo dunque una valutazione non solo quantitativa ma anche qualitativa delle diverse abilità sesso e genere specifiche.

Questo tipo di analisi mostra una differenza piuttosto significativa e costante nelle discipline di corsa, dove i maschi ottengono tempi inferiori di circa il 10% rispetto alle femmine, grazie a velocità medie più elevate sia sulle brevi che sulle lunghe distanze. Ad esempio, escludendo i 100 metri per le polemiche legate all’omologazione del record femminile, la differenza è del 10,07% nei 200 metri e del 9,26% nella maratona. Nelle discipline che richiedono forza esplosiva, soprattutto applicata in senso antigravitazionale, emerge una discrepanza ancora più netta, pari al 15-18% a favore degli uomini, in linea con quanto si può osservare nel sollevamento pesi.

Nel valutare questi dati si tenga conto che una differenza apparentemente piccola del 10%, o di un secondo, è in realtà di grande significato e rilevanza nello sport di alto livello. Infatti, i maschi che ottengono risultati pari ai record mondiali delle donne, pur appartenendo certamente a un’élite relativamente ristretta di atleti, difficilmente competono ai massimi livelli.

L’esercizio fisico

Le differenze legate al sesso in relazione all’esercizio fisico sono molteplici, e riguardano praticamente l’intero organismo (Figura 1). Dal punto di vista costituzionale, le differenze sesso-specifiche sono particolarmente importanti per quanto riguarda le caratteristiche biometriche e all’apparato muscolo-scheletrico.

Figura 1. Differenze sesso-specifiche correlate all’esercizio fisico nel sesso femminile (modificata da Lodi et al. 11)

Caratteristiche biometriche. Generalmente, i maschi adulti sono 10-15 cm più alti delle femmine, ed hanno un peso corporeo superiore di 10-20 kg. Ciò è dovuto a diversi fattori che fin dalla vita intrauterina, ma soprattutto durante la fase puberale, fanno sì che nelle donne vi sia una più rapida maturazione scheletrica e una più precoce chiusura delle cartilagini di accrescimento rispetto agli uomini con una minor densità ossea. Studi condotti con tomografia computerizzata periferica ad alta risoluzione (HR-pQCT) hanno valutato la microarchitettura ossea e la densità volumetrica della massa ossea, dimostrando che i giovani maschi adulti hanno un’attività di riassorbimento osteoclastico nell’osso corticale più elevata rispetto alla controparte femminile, ma il numero e lo spessore delle trabecole è più alto negli uomini che nelle donne (2,3). Come conseguenza, l’osso maschile è più responsivo agli stress a cui è sottoposto (fra cui l’attività fisica) e la sua densità ossea è maggiore.

Dal punto di vista biometrico, ci sono differenze di proporzioni tra le parti del corpo peculiari per ciascun sesso. In particolare, la donna ha tendenzialmente estremità più corte, un tronco relativamente più lungo, spalle più strette, un rapporto maggiore tra peso delle gambe e peso corporeo e un maggiore estensione del gomito. Ma le maggiori differenze riguardano le ossa del bacino. Nelle donne, la larghezza del bacino è superiore alla lunghezza del tronco, e le ali iliache sono più larghe. Di conseguenza, il bacino è complessivamente più largo e con una forma ellittica, anziché rotonda come nell’uomo, ed i rami dell’osso pubico formano un angolo più aperto (90-100° anziché 70-75°). A causa di tali connotati, le donne presentano un valgismo fisiologico compensativo degli arti inferiori, che contribuisce all’abbassamento del centro di gravità ed un effetto negativo in certe discipline sportive quali la corsa e il salto.

Apparato muscolo-scheletrico. Di contro, dal punto di vista muscolo-scheletrico le donne presentano un’elasticità marcatamente superiore rispetto agli uomini, che conferiscono una maggiore mobilità articolare, con conseguenti vantaggi negli sport ad espressione artistica di mobilità e flessibilità (ginnastica artistica, esercizio al corpo libero). Ciò è dovuto principalmente alla netta prevalenza della componente estrogenica su quella del testosterone. Eppure, tale elasticità comporta a livello articolare una maggiore lassità che predispone a sua volta ad instabilità. Questo giustifica la più alta frequenza di alcuni infortuni articolari nelle donne rispetto agli uomini. È ormai ben documentata la maggiore predisposizione femminile (da 2 a 8 volte superiore) alla rottura o alla lesione del legamento crociato anteriore (LCA), che peraltro si verifica generalmente senza contatto con l’avversario, e quindi per dinamiche intrinseche alle caratteristiche articolari delle atlete (4).

Proprio il LCA è la struttura più studiata per quanto riguarda il confronto maschio-femmina, ed è ormai noto come, rispetto agli uomini, le donne abbiano una minore ampiezza del solco intercondiloideo e una minore area della sezione trasversale del legamento (5,6,7). Il LCA nelle donne è inoltre sottoposto ad un maggiore stress a causa del maggior atteggiamento in varo del ginocchio (per una maggior ampiezza del bacino, come sopra spiegato). Questo, unitamente alla sopracitata maggior lassità intrinseca delle donne, lascia intuire come la stabilità articolare del ginocchio sia indiscutibilmente minore nelle donne.

La forza muscolare. Oltre ai parametri biometrici, le caratteristiche osteo-legamentose e le qualità muscolo-scheletriche finora spiegate, vi è un’ulteriore componente differenziante, nonché quella su cui si basano principalmente le strategie di prevenzione e riabilitazione dagli infortuni: la forza muscolare. La forza muscolare gioca un ruolo di primaria importanza sulla stabilità articolare. Tra uomini e donne si rilevano notevoli differenze in termini di composizione corporea, con la donna che presenta una relativa maggior componente di tessuto adiposo e minor componente di massa muscolare (8,9).

Inoltre, nelle donne, oltre ad esservi una minor componente quantitativa di muscolo, si osserva anche una diversa qualità delle fibre muscolari. Nelle donne, infatti, dominano le fibre muscolari di tipo I, lente e ossidative, caratterizzate da elevata resistenza agli stati di fatica e bassi picchi di forza, che predispongono a migliori prestazioni di resistenza (si pensi ad esempio alla maratona). Al contrario, gli uomini, possiedono una maggiore quantità di fibre muscolari di tipo IIa, rapide e ossidative, capaci di produrre picchi maggiori di forza e maggiore potenza10, che spiega la maggior forza esplosiva dell’uomo. Queste caratteristiche contribuiscono a interpretare, insieme a quanto detto sopra in merito a lassità e instabilità legamentosa, il perché gli infortuni articolari siano più frequenti nelle donne: una massa muscolare quantitativamente minore e qualitativamente meno forte, infatti, comporta una minor forza stabilizzante sull’articolazione. D’altro canto, queste caratteristiche favoriscono le atlete donne in prestazioni con una maggior componente di resistenza, come la maggior parte delle discipline di corsa dove per l’appunto si osserva un avvicinamento fra le prestazioni femminili e quelle maschili, che tuttavia rimangono a vantaggio di quest’ultimi.

Caratteristiche fisiologiche. Per spiegare il perché delle minori performance femminili anche laddove queste dovrebbero essere aiutate dalla qualità dei loro muscoli, bisogna considerare tutte le differenze fisiologiche fra i due sessi (11). Fra queste, le donne possiedono polmoni di volume minore e vie aeree più strette rispetto agli uomini con conseguente maggior lavoro respiratorio per ottenere lo stesso flusso d’aria di un uomo. Dal punto di vista cardiocircolatorio, il cuore della donna è più piccolo rispetto a quello maschile, con conseguente minore gittata sistolica, ovvero la quantità di sangue pompata ad ogni contrazione cardiaca. Rispetto agli uomini, le donne presentano valori ematici, di globuli rossi ed emoglobina inferiori ai corrispondenti maschili. Ciò determina un minor consumo di ossigeno delle donne, che rappresenta la massima capacità aerobica dell’atleta, cioè il massimo volume di ossigeno che un soggetto può consumare al minuto. Tutti questi fattori hanno ripercussioni in termini di costo energetico con un impatto sfavorevole sulla performance atletica.

Il rischio di infortuni articolari

La comprensione delle differenze biometriche, anatomiche, metaboliche e fisiologiche fra i due sessi spiega quindi perché gli infortuni articolari siano più frequenti nelle donne rispetto agli uomini. Le donne, nondimeno, sono maggiormente esposte anche ad una condizione che è fortemente predisponente a lesioni di vario tipo, principalmente croniche o da stress, chiamata da “deficit energetico”.

Le atlete hanno infatti una maggior tendenza genere-relata a non assumere abbastanza nutrienti essenziali per sostenere la rigorosa attività fisica richiesta dal loro sport. Alcune ricerche hanno rilevato che le donne hanno maggiori probabilità di avere carenze alimentari di vitamina B12, B3, folati, ferro, magnesio, fosforo, proteine, calcio e vitamina D, essenziali per la salute delle ossa e la prevenzione degli infortuni sportivi. Tale deficit sembrerebbe essere particolarmente consueto nelle donne per la rilevante componente legata al peso e all’estetica del corpo della donna atleta (si pensi alla ginnastica o alla danza). La restrizione alimentare è quindi vista come un metodo, spesso nocivo se non addirittura perverso, per migliorare le proprie capacità. Tale pratica, quando non eseguita sotto il controllo di professionisti esperti e coscienziosi, porta in realtà ad un peggioramento delle proprie abilità, nonché a condizioni di rischio per la salute, come nel caso della “triade dell’atleta donna”. Questa consiste nell’interrelazione tra scarso apporto alimentare, disfunzioni mestruali e diminuzione della densità minerale ossea. Suddetta situazione espone ad una maggiore incidenza di infortuni, in particolare quelli da stress, come le microfratture conseguenti a gesti a basso carico ripetuti ad alta frequenza (ad esempio, la sindrome da stress tibiale mediale negli sport di corsa).

Si potrebbe quindi evincere che gli uomini, a parità di carico di lavoro, siano globalmente esposti ad un minor rischio di infortunio. Sebbene ciò sia vero per quanto concerne gli infortuni articolari, bisogna considerare che gli uomini presentano una maggior incidenza di lesioni muscolari. La maggior forza, infatti, sebbene protegga da lesioni articolari, comporta maggiori stress che devono essere sopportati dalla componente muscolo-tendinea, con conseguente aumentato rischio di danno (12). Questo avviene principalmente a carico degli arti inferiori, ed in particolare della coscia, ma qualunque muscolo, nell’uomo, è più esposto a potenziali lesioni.

L’allenamento

Quanto detto finora si applica anche alla diversa risposta allo sforzo da parte di uomini e donne che rispondono quindi in modo diverso allo stesso stimolo allenante. In termini pratici, ciò implica la necessità di ottimizzare i programmi di allenamento di ogni disciplina in base al sesso dell’atleta. È noto che, a parità di durata e intensità dell’esercizio, le donne mostrano una maggiore resistenza e un migliore recupero dallo sforzo. Questo, insieme al fatto che le donne tendono a perdere forza muscolare più velocemente, implica che sono allo stesso tempo più capaci, e più bisognose, di sessioni di allenamento di forza più continue e consistenti13. In una disciplina con componenti aerobico-anaerobiche miste, come i 400 e gli 800 metri, ad esempio, gli allenamenti di forza sono più frequenti durante tutta la stagione agonistica nelle donne rispetto agli uomini.

La riabilitazione

Le differenze legate al sesso possono essere considerate anche in ambito riabilitativo. Ad esempio, la maggiore lassità legamentosa delle donne deve essere compensata da un maggiore tono muscolare scheletrico. La minore forza delle donne implica infatti che esse debbano lavorare a un’intensità più elevata e con maggiore frequenza e che, in caso di recupero da un infortunio, necessitino di maggior tempo per tornare ai valori di forza originari. Ciò è particolarmente vero negli sport caratterizzati da bruschi cambi di direzione o da sforzi esplosivi (come il calcio e il salto in alto) dove la stabilità articolare è estremamente cruciale ed il ritorno all’attività agonistica può avvenire soltanto una volta ottenuto il pieno recupero.

In ambito sportivo, inoltre, è importante considerare il ruolo non secondario che il genere ricopre nel rapporto fra atleta e allenatore. È infatti noto che la pressoché totalità degli atleti maschi preferisce un allenatore maschio, così come anche la gran parte (il 75%) delle atlete (14,15). Tale scelta da parte femminile, apparentemente controintuitiva, dimostra un aspetto psicologico e comportamentale determinante nella relazione con il coach, in cui il genere contribuisce evidentemente in modo decisivo.

Considerazioni conclusive

La sempre maggiore partecipazione delle donne allo sport ha consentito di acquisire sempre più conoscenze riguardo le differenze tra uomo e donna nel contesto dello sport e dell’esercizio, che insieme alla sempre crescente consapevolezza dell’esistenza di queste differenze tra maschi e femmine, rendono ormai necessario il bisogno di includere il sesso come una variabile biologica da considerare se si vuole fornire un intervento fisico ottimale e personalizzato. La comprensione delle differenze sesso-specifiche relativamente alla predisposizione ed agli adattamenti all’esercizio fisico permette l’ottimizzazione degli interventi realizzati sull’atleta, con vantaggi sia da un punto di vista clinico, potendo influenzare la tipologia di interventi da adottare in termini di riabilitazione e prevenzione degli infortuni legati all’attività fisica, sia da un punto di vista atletico e prestativo, in termini di miglioramento delle performance, mantenimento della forma ed ottimizzazione di carichi e recupero.

Alessandro Visca
Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.