Vitamina D, le raccomandazioni cliniche su valutazione e integrazione
È stato pubblicato di recente sulla prestigiosa rivista Endocrine Reviews, il paper dal titolo “Consensus Statement on Vitamin D Status Assessment and Supplementation: Whys, Whens, and Hows” che raccoglie le più aggiornate raccomandazioni cliniche su perché, quando e come misurare e integrare la vitamina D.
Si tratta di un corposo documento frutto del lavoro di una trentina di autori, tra i massimi esperti sul tema in ambito internazionale, che riassume le conclusioni della sesta International Conference on Controversies in Vitamin D (tenutasi nell’autunno 2022 a Firenze).
Di seguito pubblichiamo i punti chiave del documento che derivano dalla disamina delle più recenti evidenze pubblicate in letteratura.
- La concentrazione totale di 25-idrossivitamina D rappresenta il marker più affidabile per valutare lo status vitaminico D. Restano controversi i livelli desiderabili, che possono variare in base alle condizioni preesistenti, così come i metodi di misurazione e la loro standardizzazione. Sostanzialmente 20 ng/mL e 12 ng/mL rappresentano le soglie al di sotto delle quali si parla rispettivamente di carenza e di carenza severa nella popolazione generale. Ma in caso di patologie preesistenti, come l’osteoporosi, la soglia sale a 30 ng/mL.
- Il dosaggio della vitamina D è raccomandato in tutte le categorie a rischio deficit, un elenco piuttosto lungo che include i pazienti con osteoporosi, gli anziani, i soggetti in sovrappeso o obesi e chi fa uso di farmaci o ha malattie che riducono l’assorbimento della vitamina.
- I progressi nella ricerca hanno portato a un aggiornamento delle conoscenze relative al metabolismo della vitamina D, all’identificazione di metaboliti tradizionali, al meccanismo d’azione e al ruolo dei polimorfismi genetici. Questi aspetti sono fondamentali per comprendere meglio il ruolo della vitamina D sia in ambito nutrizionale che in relazione a diverse patologie.
- Il deficit di vitamina D è collegato a un ridotto assorbimento del calcio a livello intestinale, e ciò può portare a iperparatiroidismo secondario, perdita di massa ossea, e aumento del rischio di fratture negli anziani. Le metanalisi dei trial clinici mostrano come vitamina D e calcio concorrano a determinare una riduzione del rischio di fratture all’anca e in altre sedi tra gli anziani istituzionalizzati.
- Le analisi post-hoc di alcuni trial di grandi dimensioni sugli effetti extrascheletrici della vitamina D suggeriscono un legame tra lo status vitaminico D, il sistema immunitario e lo sviluppo di diabete di tipo 2. Una possibile relazione è stata ipotizzata anche con le patologie cardiovascolari e la mortalità.
- La supplementazione giornaliera di vitamina D si conferma lo schema migliore ed è la strategia che conferisce i maggiori benefici in termini di raggiungimento dei valori ottimali; tuttavia in casi specifici e per superare il problema dell’aderenza e della compliance possono essere indicati schemi di supplementazione a intervalli più lunghi.
- In caso di supplementazione, il colecalciferolo orale (vitamina D3) si conferma la forma più adatta, anche se in specifiche situazioni possono essere presi in esame altri analoghi della vitamina D (es. calcifediolo, calcitriolo, alfacalcidolo) e altre vie di somministrazione (es. parenterale). Di fatto non esiste una terapia standard in caso di ipovitaminosi D: la supplementazione va adeguata alla gravità della carenza.