
Cefalee, focus sull’emicrania, malattia sociale e di genere
Bruno Colombo (1), Ilaria Cetta (2)
1. Neurologo, Coordinatore Attività di Area e Responsabile Centro Cefalee Ospedale San Raffaele, Università Vita-Salute, Milano
2. Neurologa, Centro Cefalee Ospedale San Raffaele, Università Vita-Salute, Milano
Nella pratica quotidiana del Medico di Medicina Generale (MMG), la cefalea è da considerarsi un sintomo da indagare con estrema attenzione, in quanto dipendente da possibili svariate cause.
La prima distinzione che il MMG deve attuare di fronte ad un paziente sofferente per una cefalea è quella fra una forma di tipo primario ed una forma di tipo secondario.
Le forme primarie di cefalea rendono conto di almeno l’85% dei dolori al capo, e possono essere definite come quei mal di testa che non dipendono o non sono attribuibili a cause organiche, ovvero non sono dovute a lesioni identificabili o a danni a carico del sistema nervoso. La loro causa è di tipo disfunzionale, in particolare dei complessi sistemi di trasmissione e controllo delle informazioni dolorifiche che fanno capo al sistema trigemino-vascolare.
Le cefalee secondarie, percentualmente meno frequenti, sono dovute ad una causa ben determinabile (di tipo lesionale, strutturale o dismetabolica), e sono espressione quindi di una patologia. In tal senso la cefalea è sintomo di una sottostante malattia e va quindi individuata prontamente.
La diagnosi di una cefalea primaria è fondamentalmente di tipo clinico, ovvero è basata sulla raccolta dei dati anamnestici e sull’esame obiettivo neurologico. Se la cefalea descritta dal paziente non rientra nelle categorie diagnostiche o ha delle caratteristiche fortemente atipiche (per insorgenza, durata, intensità e sintomi correlati), va sospettata una forma secondaria e solo in questo caso diventano necessari esami strumentali (per lo più di tipo neuroradiologico).
L’emicrania: conoscerla e capirla per meglio curarla
L’emicrania è una cefalea primaria che si presenta caratteristicamente con episodi dolorosi ricorrenti (attacchi) a frequenza variabile ed intensità rilevante. La malattia ha una forte impronta genetica sulla quale si sovrappongono fattori interni (ormonali, psicologici) od esterni (alimentari, sociali, ambientali) per determinare l’insorgenza, la frequenza e la intensità degli episodi stessi
Gli elementi tipici e caratteristici di questa patologia, codificati nella classificazione della International Headache Society sono:
- la durata degli episodi: da 4 a 72 ore se non trattati adeguatamente
- il dolore prevalentemente (ma non assolutamente) unilaterale, di tipo pulsante (“come un martello che picchia in testa”), di intensità rilevante nel 60% dei casi e che si aggrava con lo sforzo fisico (il paziente tende ad evitare l’attività fisica in corso di attacco)
- il fastidio per gli stimoli ambientali, percepiti come disturbanti (suoni, luci ed odori, ovvero fonofobia, fotofobia ed osmofobia nel 70% dei casi)
- i sintomi neurovegetativi (prevalentemente nausea e vomito nel 50% dei casi).
Inquadramento clinico ed epidemiologico
In circa un terzo dei casi si presentano sintomi neurologici che precedono l’insorgenza dell’attacco emicranico, di durata breve (dai 30 ai 45 minuti in media), del tutto reversibili, che vengono definiti come “aura emicranica”.
Si tratta per lo più di disturbi visivi (scotomi scintillanti, linee geometriche a zig-zag od ondulate, ma anche offuscamento di parte del campo visivo stesso) ad insorgenza graduale e scomparsa anch’essa progressiva. Altri sintomi dell’aura possono essere parestesie (con andamento a marcia), a partire da un arto superiore fino ad arrivare al volto, e disturbi del linguaggio di tipo disfasico. Questi sintomi solitamente conseguono all’aura visiva, e si parla in tal senso di aura complessa. L’attacco emicranico consegue all’aura dopo un breve intervallo di tempo.
L’emicrania affligge circa il 14% della popolazione generale in tutto il mondo. Questo significa che un miliardo di persone ne sono colpiti, almeno 6 milioni in Italia. La frequenza è 2-3 volte superiore nelle donne rispetto agli uomini, e nel sesso femminile la malattia tende ad avere un andamento più grave, con attacchi di intensità dolorosa maggiore, con numero più elevato di attacchi al mese e con più rilevante impatto dei sintomi associati quali la fotofobia e la nausea.
Di fatto, l’emicrania può essere considerata una malattia di genere. L’età nella quale risulta più frequente è fra i 40 e i 45 anni, ma inizia a manifestarsi già in età giovanile, ed anche pediatrica. In due terzi dei casi, i primi attacchi si manifestano prima dei 35 anni. L’andamento varia nel tempo con un relativo ma non assoluto miglioramento nell’età adulta, nelle donne dopo la menopausa.
In particolare, va considerato che circa il 2-3% dei pazienti emicranici ogni anno converte da una forma episodica (meno di 15 giorni di cefalea al mese) ad una forma cronica, ovvero più di 15 giorni di cefalea al mese con almeno 8 episodi con caratteristiche emicraniche.
La progressione (ovvero la tendenza alla cronicizzazione) della cefalea emicranica non si manifesta improvvisamente, ma con un graduale aumento nella frequenza degli episodi nel tempo, nell’arco di mesi o anni, con generalmente il passaggio da una forma episodica a bassa frequenza (meno di 4 episodi al mese) ad una forma a media frequenza (da 4 ad 8 episodi al mese) fino ad una forma ad elevata frequenza (più di 8 ma meno di 15 episodi al mese). Successivamente, il quadro può divenire cronico: in questo caso, i sintomi correlati all’emicrania si riducono (vomito, foto- e fonofobia) ed il dolore diviene quotidiano, persistente, con sovrapposti però ancora episodi più intensi.
La probabilità che una forma emicranica tenda nel tempo a divenire cronica è maggiore se c’è una familiarità, se ci sono stati precedenti traumi cranici, se il paziente è in sovrappeso, soffre di disturbi del sonno, ha una comorbidità psichiatrica (ansia, depressione) e soprattutto se vengono utilizzati in modo eccessivo i farmaci sintomatici. In questo caso si può parlare di una forma secondaria di cefalea da abuso di analgesici (utilizzo per più di 10 giorni al mese e per più di tre mesi nel caso dei triptani o dei farmaci di combinazione, oppure di 15 giorni al mese nel caso di FANS o paracetamolo).
L’influenza della patologia emicranica sulla qualità di vita è estremamente elevata. Il ripetersi degli attacchi nel tempo è in grado di compromettere la capacità lavorativa, sociale e familiare del paziente, creando un impatto negativo sia sul soggetto malato che sulla collettività in cui è inserito in termini sia economici che soprattutto sociali. A livello mondiale, l’emicrania è stata valutata infatti come la seconda malattia più disabilitante se si considerano entrambi i sessi e tutte le fasce di età, ma addirittura la prima nelle donne tra i 15 ed i 49 anni.
Il paziente emicranico ha paura di sperimentare l’attacco di emicrania (cefalalgofobia, una sorta di ansia anticipatoria dell’attacco con assunzione impropria di analgesici come evitamento del possibile dolore), e spesso non è in grado di fare progetti a medio termine a causa di questa problematica.
L’impatto sulla vita privata è anch’esso evidente, con limitazioni nella quotidianità che portano poi a sensi di colpa e a vissuti della patologia come stigma. Inoltre, la vita lavorativa è segnata da quadri come l’incapacità a concentrarsi, la mancata comprensione da parte dei colleghi e soprattutto la perdita di giorni di lavoro: il 60% degli emicranici perde da 1 a 4 giorni lavorativi al mese e circa 2 giorni di vita sociale e familiare al mese a causa dell’intensità del dolore. Inoltre, per almeno 3 giorni al mese i pazienti emicranici hanno comunque lavorato pur in sofferenza (presenteismo) con resa ed efficienza ridotte e limitate dalla sintomatologia dolorosa e dai sintomi associati (nausea, fastidio per luce e rumori).
Di fatto, a causa di questa condizione, è stato stimato che il costo medio annuale in Europa dell’emicrania (costi diretti ed indiretti) nella popolazione affetta sia di 111 miliardi di Euro, e di più di 4.000 Euro/annui per ogni persona affetta dalla malattia.
Una patologia di genere
L’emicrania può essere considerata una malattia di genere, in quanto gli ormoni sessuali femminili (estrogeni e progesterone) sono in grado di determinare specifici effetti a livello del sistema nervoso centrale, in particolare sulla trasmissione del dolore, sulla soglia di eccitabilità neuronale e sulla sintesi di neurotrasmettitori. Ciò rende conto della correlazione fra le variazioni cicliche ormonali (specie degli estrogeni) e la ricorrenza degli episodi emicranici.
Il brusco calo del tasso estrogenico in fase perimestruale giustifica la comparsa di emicrania nei giorni del ciclo, spesso con intensità e durata maggiori che nei rimanenti giorni del mese. L’emicrania correlata alle mestruazioni (con episodi che si presentano dai 2 giorni prima ai 3 giorni dopo il ciclo) è estremamente frequente nelle donne emicraniche. Va segnalato che nel 10-20% dei casi l’emicrania è presente solo in fase mestruale (emicrania catameniale pura).
L’importanza delle variazioni dei livelli ormonali in relazione al quadro emicranico è confermata dal fatto che in gravidanza (con livelli estrogenici stabili ed elevati) le frequenze degli attacchi tendono a ridursi fortemente o addirittura ad azzerarsi, specie negli ultimi due trimestri. Il periodo di premenopausa presenta invece fluttuazioni ormonali imprevedibili e transitorie che portano spesso ad un aggravamento nelle frequenze delle emicranie stesse. Diversamente, le forme con aura tendono a persistere o addirittura ad insorgere in corso di gravidanza, senza poi migliorare con la menopausa.
L’emicrania nell’ambulatorio del MMG
Il ruolo del MMG nel gestire ambulatorialmente un paziente affetto da emicrania può essere riassunto in pochi punti:
- porre una diagnosi corretta secondo i criteri clinici della International Headache Society, elencati sopra;
- definire, in base alla frequenza degli episodi al mese, al consumo di analgesici e all’impatto sulla qualità di vita la gravità del quadro. Ciò allo scopo di mettere in atto un sistema di cure individualizzato e differenziato per livelli di complessità, con standard assistenziali corretti e coerenti con le più moderne linee guida;
- fornire al paziente informazioni adeguate sulla tipologia, sulle cause, sugli sviluppi e sulle terapie possibili relativamente alla sua malattia. Il soggetto emicranico ha scarse conoscenze sulle origini della patologia, ed è alla ricerca sempre di una spiegazione che tolga dubbi sulla organicità o su possibili cause secondarie;
- riferire al Centro Cefalee i pazienti a media/elevata frequenza di attacchi e ad elevata disabilità, o con utilizzo eccessivo di analgesici. I Centri Cefalee di secondo e terzo livello possono garantire l’attività di ambulatori specialistici dedicati, la possibilità di prescrizione ed esecuzione di terapie avanzate nei soggetti con particolari caratteristiche cliniche (anticorpi monoclonali anti-CGRP, gepanti, tossina botulinica, infiltrazione del nervo grande occipitale) fino al ricovero ospedaliero per disassuefazione da utilizzo eccessivo di analgesici;
- nei casi a bassa frequenza di episodi e limitato impatto sulla qualità di vita, iniziare una terapia sintomatica corretta o una profilassi di primo livello;
- intervenire sugli stili di vita e sulle comorbidità;
- fornire al paziente informazioni e un corretto orientamento relativamente ai servizi forniti dai Centri Cefalee.
La terapia farmacologica e non farmacologica
Una volta identificata e diagnosticata correttamente una forma emicranica, diviene essenziale identificare i trattamenti più efficaci per alleviare l’intensità degli attacchi (terapia sintomatica) e prevenirne la ricorrenza a lungo termine (terapia di profilassi o preventiva).
La scelta di una terapia è fondamentale non solo per ridurre l’impatto disabilitante dell’emicrania in fase acuta, ma anche per evitare i rischi legati alla cronicizzazione e al conseguente abuso di farmaci. La gestione terapeutica del paziente emicranico deve quindi essere indirizzata a partire dalla valutazione della gravità e dell’impatto funzionale degli attacchi, oltre che della loro frequenza. L’intervento precoce è fondamentale per prevenire il successivo peggioramento dei sintomi.
Terapia farmacologica dell’attacco emicranico
Una buona regola è quella di insegnare ai pazienti a riconoscere ed identificare i primi sintomi di un attacco di emicrania, in quanto l’assunzione di un trattamento in fase precoce risulta fondamentale per ottenere una risposta adeguata (riduzione del dolore e dei sintomi associati) e interrompere di conseguenza l’attacco nei tempi più rapidi.
Il trattamento dovrebbe essere individuato ed attuato sin dall’inizio, selezionando il farmaco appropriato in base alla gravità dei sintomi, alla via di somministrazione e alle eventuali comorbidità del paziente. Ad esempio, la presenza di allergie e condizioni coesistenti che potrebbero limitare l’uso di farmaci sintomatici, come malattie cardiache, ipertensione non controllata, problemi gastrointestinali e disfunzioni renali, dovrebbe essere attentamente valutata a priori.
L’uso regolare di un diario dell’emicrania e di questionari specifici per valutare la disabilità legata all’emicrania durante i singoli attacchi (come il questionario MIDAS, tradotto in italiano e di facile accessibilità) può aiutare a monitorare l’efficacia dei farmaci sintomatici.
Diverse strategie di trattamento possono aiutare i medici a massimizzare l’efficacia della terapia sintomatica per l’emicrania. La scelta della via di somministrazione può essere significativa: formulazioni non orali (come iniezioni sottocutanee, spray nasali o supposte) sono suggerite per i pazienti che manifestano nausea o vomito precoci durante gli attacchi.
La terapia acuta per l’emicrania può essere classificata in trattamenti specifici, non specifici e adiuvanti.
• Trattamento acuto non specifico
I trattamenti acuti non specifici, ma supportati da solide evidenze, includono il paracetamolo e la classe dei farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) come acido acetilsalicilico (ASA), ibuprofene, diclofenac, naprossene e dexketoprofene. Questi trattamenti sono da ritenersi efficaci per gestire attacchi di emicrania lievi, ovvero che non interferiscono sulle attività quotidiane del paziente. Il paracetamolo, a dosi piene per età e peso, può essere un’opzione iniziale adatta per il trattamento acuto dell’emicrania in individui che non tollerano i FANS o l’ASA, specialmente in casi di emicrania in fase gestazionale, durante l’adolescenza o l’infanzia, o in corso di attacchi con un basso livello di disabilità.
• Trattamenti specifici
I trattamenti acuti specifici, considerati la scelta preferenziale per gli attacchi moderati e gravi, comprendono farmaci che fanno parte della classe dei triptani.
Di più recente introduzione sono il lasmiditan e i gepanti, la cui prescrizione può essere rimandata allo specialista Neurologo del Centro Cefalee quando i triptani non siano ben tollerati o non siano stati efficaci.
I triptani, agonisti dei recettori della serotonina 5-HT1B/1D, hanno comprovata efficacia e sicurezza. Tuttavia, a causa del loro effetto vasocostrittore, sono controindicati nei pazienti con ipertensione non controllata, malattie coronariche, cerebrovascolari o vascolari periferiche. Tra gli effetti collaterali comuni ci sono palpitazioni, tensione a livello del collo o del torace, disgeusia e spasmo esofageo, che devono essere preventivamente segnalati ai pazienti. Attualmente sono disponibili sette farmaci a base triptanica, con diversa modalità di somministrazione e cinetica. La scelta dovrebbe essere personalizzata in base a fattori come l’ora di insorgenza dell’emicrania (ad esempio, se ad insorgenza notturna sono preferibili triptani a rapido assorbimento e Tmax raggiunto in tempi brevi), la gravità, la tendenza alla recidiva (nel qual caso sono suggeriti triptani ad emivita più lunga) e la frequenza e durata degli attacchi.
È importante inoltre valutare il fatto che i pazienti possono rispondere in modo diverso ai vari triptani, e il passaggio da un triptano a un altro potrebbe migliorare i risultati se l’efficacia o la tollerabilità non siano state soddisfacenti con un primo approccio.
Il lasmiditan fa invece parte della classe dei ditani ed è un agonista selettivo dei recettori 5 HT1-F. Ha un assorbimento rapido, ed in quanto lipofilico supera la barriera ematoencefalica. Inoltre, non induce vascocostrizione. Alla dose di 100 mg è indicato in particolare per i pazienti con controindicazioni ai triptani. È sconsigliata la guida nelle 8 ore successive all’assunzione, quindi può essere considerato anche come trattamento per gli attacchi emicranici a comparsa notturna. Il rimegepant (75 mg) fa invece parte della classe dei gepanti, ed ha la peculiarità di poter essere utilizzato sia come trattamento acuto che (assunto a giorni alterni) come farmaco di profilassi.
• Trattamento adiuvante
I farmaci adiuvanti, principalmente antiemetici/neurolettici come antagonisti dei recettori della dopamina D2 (es. domperidone, metoclopramide, clorpromazina), giocano un ruolo ben definito nella gestione di nausea o vomito e nell’ottimizzazione dell’assorbimento degli altri trattamenti. Tuttavia, è importante controllare la comparsa di eventuali effetti collaterali quali sedazione, ipotensione ortostatica e sintomi extrapiramidali.
Si raccomanda inoltre di evitare morfina e derivati oltre che le combinazioni di analgesici con barbiturici, codeina e tramadolo a causa della forte possibilità che possano indurre cronicizzazione dell’emicrania e soprattutto lo sviluppo di cefalea da abuso (ovvero cefalea legata ad una sorta di astinenza da antidolorifico). In figura 1 sono riassunte le principali classi di farmaci per il trattamento in acuto.
FIGURA 1 Schema riepilogativo delle principali categorie farmacologiche
per il trattamento dell’attacco acuto di emicrania
Terapia farmacologica per la prevenzione/profilassi dell’emicrania
L’obiettivo principale del trattamento preventivo è in primo luogo ridurre la frequenza, la durata e la gravità degli attacchi di emicrania, rendendoli così numericamente ridotti, meno intensi e conseguentemente più gestibili con i trattamenti acuti. L’obiettivo finale è migliorare la qualità della vita del paziente e ridurre l’impatto debilitante dell’emicrania sulle attività quotidiane (familiari, lavorative e sociali).
I farmaci preventivi giocano un ruolo cruciale nella gestione dell’emicrania e dovrebbero essere considerati in diverse circostanze: 1) quando si verificano frequenti attacchi (quattro o più episodi al mese con disabilità elevata o otto o più giorni di cefalea al mese); 2) in caso di scarsa o mancata risposta a più classi di farmaci utilizzati in acuzie, o per controindicazioni, effetti collaterali o uso eccessivo degli stessi; 3) quando l’emicrania influisce significativamente sulla qualità della vita nonostante siano state approntate modifiche dello stile di vita e il trattamento acuto sia da ritenersi insufficiente e 4) per gestire al meglio l’emicrania a comparsa esclusiva in corso di ciclo mestruale, se a frequenza ripetitiva.
I piani di trattamento farmacologici devono essere altamente personalizzati, considerando le condizioni di salute del paziente (comorbidità), le sue eventuali preferenze, l’interferenza eventuale della terapia sullo stile di vita (specie per possibili eventi avversi), l’età ed il genere del paziente. La scelta della terapia farmacologica deve essere discussa e concordata tra paziente e medico, bilanciando efficacia ed effetti collaterali ed avendo ben chiari gli obiettivi della cura stessa, la sua durata e le possibili alternative.
L’efficacia dei farmaci preventivi viene solitamente valutata positiva se in grado di ridurre la frequenza degli attacchi di almeno il 50% in tre mesi (valutando tali dati dal diario delle cefalee, che il paziente dovrà debitamente compilare). Si raccomanda di iniziare la terapia a basse dosi, aumentandole gradualmente fino al raggiungimento della posologia ottimale. Dopo 6-12 mesi, il trattamento potrebbe essere interrotto gradualmente se il risultato è stato ritenuto adeguato, con la possibilità di eventuali cicli successivi, se necessari. Va ricordato al paziente che ci possono volere fino a sei settimane per poter osservare gli effetti positivi di una terapia di profilassi.
I farmaci orali preventivi/di profilassi si dividono in varie categorie:
• Antidepressivi: l’amitriptilina è un antidepressivo triciclico efficace sul dolore già a basse dosi. Si somministra alla sera perché può indurre sonnolenza e si titola gradualmente in base alla tolleranza del paziente. Gli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI) e della serotonina-noradrenalina (SNRI) sono opzioni altrettanto valide da considerare nei pazienti con tratto ansioso-depressivo.
• Neuromodulanti: quali il topiramato, l’acido valproico e il gabapentin. Il topiramato è il più usato tra questi, ma può causare effetti collaterali quali parestesie, perdita di appetito e conseguentemente di peso, affaticamento e difficoltà di concentrazione ed attenzione. È recente l’alert di AIFA per cui è sconsigliato il suo utilizzo in donne in età fertile per potenziale teratogenicità. L’acido valproico invece è certamente teratogeno e scarsamente tollerato, a differenza del gabapentin che richiede un graduale incremento della posologia per favorirne la tolleranza.
• Antipertensivi: i beta-bloccanti, come il propranololo, sono ampiamente usati per la prevenzione dell’emicrania. Anche la flunarizina e il candesartan sono valide opzioni per i pazienti con comorbidità di ipertensione.
Altre categorie, la cui indicazione dovrebbe essere fornita da uno specialista di un Centro cefalee, includono:
• La tossina botulinica: indicata solo per l’emicrania cronica (almeno 15 giorni di cefalea al mese, di cui almeno 8 emicranici, negli ultimi 3 mesi), attraverso iniezioni periodiche (ogni 3 mesi) in specifici punti di testa e collo secondo un protocollo accettato a livello internazionale e denominato PREEMPT.
• Blocchi antalgici, quali il blocco del grande nervo occipitale: è una procedura che si effettua in centri specializzati e prevede la somministrazione locale di anestetici e cortisonici.
• Anticorpi monoclonali: bloccano l’attività del Calcitonin-Gene Related peptide (CGRP) che è una molecola altamente implicata nella genesi del dolore in corso di attacco emicranico. Per questi farmaci, si prevedono somministrazioni sottocutanee o endovenose a regime mensile o trimestrale a seconda della specifica molecola. Sono farmaci di seconda linea, indicati quando le terapie preventive di prima linea non hanno sortito beneficio. Attualmente le limitazioni imposte dall’AIFA per la rimborsabilità dei farmaci prevedono che i pazienti candidabili alla terapia soddisfino i seguenti criteri: almeno 8 giorni di emicrania al mese, il fallimento di almeno tre classi farmacologiche preventive (tra triciclico, antiepilettico, beta-bloccante e tossina botulinica) e un impatto funzionale dell’emicrania, misurato su scala MIDAS, ≥ 11.
Questi farmaci sono invece controindicati in caso di pregressi eventi ischemici cardio- e cerebrovascolari, pregresse trombosi venose e in caso di ipertensione arteriosa non controllata. La tabella 1 illustra un riepilogo della scheda di eligibilità sul portale AIFA.
La classe dei gepanti (antagonisti del CGRP) è di recente introduzione relativamente alle possibilità terapeutiche di profilassi. In particolare atogepant (60 mg/die) si è dimostrato efficace sia nelle forme di emicrania episodica che nelle forme di tipo cronico. Il vantaggio clinico tende ad essere evidente già nel primo mese di cura con andamento incrementale nel tempo, e persistenza dell’efficacia.
Rimegepant (75 mg a assunto giorni alterni) ha anch’esso un buon profilo di tollerabilità. I dati degli studi RCT dimostrano una efficacia consistente e mantenuta nel tempo sia nei pazienti affetti da emicrania con e senza aura, che in quelli con forme croniche.
La possibilità di utilizzo in profilassi di questa nuova classe di farmaci (anch’essi sottoposti comunque a restrizioni AIFA) apre il ventaglio di scelta su composti sempre più specifici, con meccanismi di azione mirati e con eventi avversi assai limitati. Ne fa fede il bassissimo tasso di abbandono negli studi RCT, indice di una ottima aderenza e di una elevata tollerabilità.
Una sintesi delle attuali opzioni di trattamento per l’attacco acuto e la profilassi dell’emicrania è presentata in tabella 2.
Correzione degli stili di vita come intervento terapeutico
L’educazione del paziente e le correzioni dello stile di vita sono parte integrante del trattamento di un soggetto affetto da emicrania. Consigli personalizzati su alimentazione sana, attività fisica, idratazione, igiene del sonno, gestione dello stress e documentazione degli attacchi sono essenziali per una migliore gestione della patologia.
• Esercizio fisico/trattamenti fisici
Numerose evidenze scientifiche dimostrano che un esercizio fisico moderato, regolare, graduale di tipo aerobico possa (favorendo una maggior percezione di benessere e di autoefficacia nel paziente), ridurre la frequenza e la intensità degli episodi emicranici. Si consiglia quindi ad esempio una camminata veloce o un percorso in bicicletta per mezzora/un’ora almeno 3 volte la settimana, rimanendo ben al di sotto della soglia aerobica.
Tale obiettivo va raggiunto gradualmente, per non sottoporre il fisco a stress, e soprattutto l’attività fisica va valutata in base alle potenzialità ed alle eventuali comorbidità del paziente, rispettando i limiti individuali. L’esercizio va inoltre evitato se è in corso un attacco emicranico.
Molti pazienti richiedono trattamenti fisici quali la massoterapia, la fisioterapia e la manipolazione spinale per gestire l’emicrania. Circa il 15% dei pazienti si rivolge a osteopati o chiropratici, sebbene le prove della loro efficacia siano ancora limitate. La massoterapia può aiutare a ridurre il dolore lavorando sui punti trigger nei muscoli del collo, delle spalle e del cuoio capelluto (inserzioni spinali occipitali, paravertebrali del collo). Tuttavia, sono necessarie ulteriori ricerche per determinare le metodiche più efficaci nell’ambito delle terapie manuali.
Diverse terapie fisiche, tra cui la manipolazione/mobilizzazione delle articolazioni spinali o gli interventi manuali sui tessuti molli sono proposte come adiuvanti nella gestione delle cefalee. Le evidenze attuali indicano che l’efficacia di queste terapie dipende soprattutto da un corretto approccio clinico e diagnostico. Ad esempio, l’efficacia della fisioterapia nell’emicrania è più controversa rispetto a quanto si può evidenziare nei pazienti affetti da cefalea tensiva. Questo perché la patogenesi dell’emicrania coinvolge l’attivazione di strutture corticali, sottocorticali e del sistema trigemino-vascolare, mentre la patogenesi della cefalea tensiva è per lo più legata a disturbi funzionali muscoloscheletrici del tratto cervicale.
L’approccio multimodale, che includa terapie fisiche ad approcci di tecniche di rilassamento (mindfulness o training autogeno), può risultare utile nella gestione a lungo termine dei pazienti emicranici.
• Dieta
La dieta chetogenica è sempre più riconosciuta come una possibile misura preventiva per l’emicrania, supportata da numerosi studi preclinici e clinici. Sebbene la dieta chetogenica sia comunemente utilizzata per indurre perdita di peso e vi sia una correlazione diretta tra emicrania e obesità, si è evidenziato che l’efficacia di questa dieta nel trattamento dell’emicrania possa andare oltre il suo impatto sulla perdita di peso.
Altre buone regole da condividere con il paziente sono: 1) evitare il digiuno o la irregolarità negli orari di assunzione dei pasti; 2) mantenere una adeguata idratazione; 3) non eccedere con la caffeina, soprattutto evitare la brusca astinenza dalla stessa; 4) cercare eventuali cibi scatenanti, ricorrendo ad un diario alimentare che permetta di valutare nel singolo paziente se, ricorrentemente, un determinato cibo sia correlato all’insorgenza di un attacco emicranico se assunto entro le 12 ore prima dello stesso.
• Stress
L’emicranico è un paziente particolarmente sensibile agli stress: un attacco può infatti manifestarsi sia quando lo stress raggiunge picchi elevati o si prolunga nel tempo, o anche quando si riduce alla risoluzione dell’evento stressogeno. Dato che i fattori di stress non sono eliminabili (eventi della vita, lutti, divorzi, disagi lavorativi), diviene essenziale acquisire strategie o attuare pratiche comportamentali in grado di poter ridurre questo carico.
I trattamenti comportamentali, comprese tecniche di rilassamento, gestione dello stress, terapia cognitivo-comportamentale e biofeedback, sono altamente raccomandati ed efficaci sia per prevenire che per gestire l’emicrania. Si possono utilizzare metodiche come il rilassamento assistito dal biofeedback, la riduzione dello stress basata sulla consapevolezza, la terapia cognitivo-comportamentale, il rilassamento muscolare e tecniche di desensibilizzazione.
Inoltre, acquisire competenze per riformulare pensieri negativi, praticare il rilassamento attraverso la respirazione diaframmatica, rafforzare la fiducia in sé stessi, sviluppare abilità di risoluzione dei problemi e integrare pratiche come lo yoga, la musicoterapia e la meditazione sono tutti approcci considerabili di estrema utilità. Questi interventi possono essere somministrati in sessioni private o di gruppo, facilitati da team multidisciplinari o anche erogati in videovisita o telefonicamente.
È importante sottolineare come, per sviluppare un effetto benefico di questi approcci, sia necessaria una pratica costante per favorire lo sviluppo di risposte automatiche efficaci. Il MMG ed anche lo specialista dovrebbero promuovere la pratica di interventi comportamentali fornendo suggerimenti educativi per migliorare e promuovere l’autoconsapevolezza e mantenere uno stile di vita sano e stabile, obiettivi primari nella gestione comportamentale dell’emicrania.
• Igiene del sonno
L’emicrania e i disturbi del sonno sono spesso associati. L’esistenza di una relazione tra emicrania e disturbi del sonno è stata ampiamente riconosciuta da numerosi studi clinici ed epidemiologici. Tuttavia, la natura esatta di questa associazione, i meccanismi sottostanti e le interazioni sono assai complessi e non completamente compresi.
Recenti studi biochimici e di imaging funzionale hanno identificato strutture del sistema nervoso centrale e neurotrasmettitori coinvolti sia nella fisiopatologia dell’emicrania che nella regolazione della normale architettura del sonno, suggerendo un possibile ruolo causale nella patogenesi di entrambi i disturbi a causa di una disfunzione dei comuni network centrali (vie orexinergiche).
Data l’elevata prevalenza delle due comorbidità, bisognerebbe sempre indagare la presenza di un disturbo del sonno nel paziente emicranico. Una volta diagnosticato, il clinico dovrebbe adottare strategie di trattamento mirate e spesso combinate, che possano portare ad un miglioramento di entrambi i disturbi. Ad esempio: 1) mantenere orari fissi sia nel coricarsi che nello svegliarsi, aiutando in tal modo la regolazione del ritmo circadiano; 2) evitare distrazioni prima di coricarsi (ad esempio rimanere a lungo al cellulare o davanti a schermi: la luce blu emessa da dispositivi elettronici ha interferenza con la produzione di melatonina); in tal senso, la camera da letto dovrebbe essere sprovvista di TV; 3) evitare pasti abbondanti ed uso di caffeina prima di coricarsi.
Considerazioni conclusive
L’emicrania è quindi definibile come una patologia che deriva da una interazione complessa fra fattori biologici, genetici, psicologici e sociali. Lo scopo del MMG è quello in primis di informare il paziente sul fatto che i progressi della ricerca hanno portato alla possibilità di utilizzo di farmaci sempre più specifici e mirati, sia per trattare l’attacco acuto che per la prevenzione degli episodi.
Va però chiarito con il paziente che l’emicrania è una patologia trattabile, migliorabile, ma al momento non curabile stante la forte componente genetica (più di 100 geni sono infatti coinvolti nel determinismo della malattia).
L’approccio farmacologico e di correzione degli stili di vita vanno quindi perseguiti nel lungo termine, ed il paziente deve prendere coscienza di questa sua condizione arrivando ad una fase definibile come di accettazione “impegnata”, ovvero una convivenza consapevole con la malattia rispetto alla quale il medico (MMG o specialista) cercherà di attuare tutte le strategie atte a ridurre e minimizzare l’impatto della stessa sulla qualità di vita.
Si ringraziano i collaboratori del Centro Cefalee dell’Ospedale San Raffaele di Milano:
Roberta Messina, Neurologa e Ricercatrice;
Simone Guerrieri, Neurologo;
Carla Butera, Neurofisiologa;
Laura Zanandrea, Federica Genovese (medici in formazione specialistica neurologica)
e il Prof. Massimo Filippi (Direttore Dipartimento Neurologico)
Riferimenti bibliografici
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