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Covid-19, il ruolo della nutrizione per la prevenzione e nella terapia

Il ruolo della nutrizione nell’infezione da SARS-CoV-2 è un argomento inevitabilmente di grande attualità. Tra gli studi più recenti su questo tema c’è una review italiana, pubblicata dalla rivista Nutrition su “Obesità, malnutrizione e deficit di oligoelementi nella pandemia della malattia da coronavirus (COVID-19)”. Abbiamo chiesto alla prima autrice di questo lavoro, Debora Fedele, dietologa dell’Unità di Dietetica e Nutrizione Clinica, Ospedale S. Giovanni Battista, Città della Salute e della Scienza, Torino, di sintetizzarne i temi più importanti.

Dottoressa Fedele, in che modo lo stato nutrizionale può influire sulla suscettibilità all’infezione da SARS-CoV-2 e sulla gravità della malattia?

È dimostrato che una compromissione dello stato nutrizionale, in generale, determina un allungamento dei tempi di degenza ed è associato a peggior outcome per tutte le patologie. Quello che accomuna i tre tipi di malnutrizione (per eccesso, per difetto e per carenza di micronutrienti) è l’alterata risposta immunitaria, sia cellulo-mediata che immuno-mediata.

È inoltre noto che nei pazienti obesi e nelle gravi sarcopenie è già attiva un’infiammazione di basso grado, con aumento delle citochine circolanti, che può ulteriormente aggravarsi dopo un’infezione. Se prendiamo l’esempio dell’influenza H1N1, infatti, è stata rilevata una maggiore concentrazione di IL-6, IL-15, IL-8 e TNF-a, con una correlazione significativa rispetto a un peggiore outcome.

Una percentuale non trascurabile di pazienti affetti da COVID-19 con necessità di ventilazione invasiva è costituita da soggetti obesi: qui sono in causa soprattutto le comorbidità associate, quali asma e BPCO, che possono inficiare gravemente gli scambi respiratori.

Per quanto concerne la sarcopenia, bisogna considerare anche la perdita di funzione dei muscoli deputati alla respirazione e i ridotti valori di picco di flusso espiratorio (PEFR), riscontrabili in questa categoria di pazienti rispetto ad una popolazione di controllo sana.

Nel suo lavoro si evidenzia anche il ruolo di vitamine ed oligoelementi nella risposta immunitaria e nei processi infiammatori, ci può riassumere gli aspetti più importanti di questa associazione?

Vitamine ed oligoelementi giocano un ruolo chiave nella modulazione della risposta immunitaria e respiratoria. Un dato curioso riguarda ad esempio il selenio: questo elemento traccia, infatti, svolge un ruolo antiossidante e immunoregolatorio e da uno studio condotto in Cina (tra i Paesi al mondo nel cui territorio coesistono zone carenti in selenio nel terreno e zone con elevatissime concentrazioni fino a determinare un rischio di intossicazione) è emerso che in zone con scarsa disponibilità di selenio la mortalità legata all’infezione da COVID-19 era maggiore.

Tra gli altri oligoelementi sono importanti inoltre zinco e rame, la cui carenza sembra essere associata a maggiore rischio di infezione delle basse vie respiratorire e maggiore capacità di replicazione del genoma virale (almeno da quanto emerge dagli studi su H1N1).

Lo stesso discorso vale anche per le vitamine (A, C, E, D), per le quali è stata proposta la supplementazione anche nelle fasi acute. Per quanto riguarda, ad esempio, l’acido ascorbico, alcuni protocolli ne suggeriscono un uso ad alte dosi nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica.

Sul possibile ruolo della vitamina D, in particolare, e della supplementazione come fattore protettivo dal COVID-19 sono comparse notizie discordanti, qual è il suo parere?

Come noto, la vitamina D ha effetti pleiotropici sull’organismo che si manifestano anche nella risposta immune, così come può influenzare la permeabilità delle cellule alveolari.

Già dai primi studi condotti sui pazienti affetti da COVID-19 è stata evidenziata una correlazione tra bassi livelli di 25(OH)vitamina D e infezione da SARS-CoV-2, ma bisogna considerare anche le caratteristiche della popolazione presa in esame, per lo più composta da soggetti con patologie pregresse e/o anziani. Va inoltre considerato che in fase di infiammazione acuta vi è riduzione delle proteine di trasporto, aumento del volume di distribuzione e di conseguenza maggiore diluizione, determinando perciò basse concentrazioni sieriche per diluizione.

Si può ritenere adeguato, a mio giudizio, in contesto di “prevenzione”, la supplementazione di colecalciferolo al fine di mantenere adeguati livelli di vitamina D, ma riguardo l’impatto della supplementazione in fase acuta in questa categoria di pazienti mancano dati conclusivi sugli outcome.

Quale dovrebbe essere in generale la strategia nutrizionali per i pazienti, in particolar modo anziani e categorie più a rischio, in funzione preventiva e come approccio complementare alla terapia del COVID-19?

In generale, possiamo dire che la valutazione dello stato nutrizionale e la prevenzione della malnutrizione sono elementi non trascurabili che andrebbero indagati in tutti i pazienti, così da poter indirizzare i soggetti all’attenzione degli operatori sanitari che valuteranno le abitudini alimentari e potranno dare indicazioni specifiche rispetto ad un eventuale intervento dietetico. Questo si traduce in migliore immunocompetenza e, in soggetti ospedalizzati, a ridotti tempi di ricovero.

Il ruolo dell’alimentazione nell’ambito della terapia del COVID-19 si traduce nell’individuare le eventuali carenze ed assicurare un’opportuna supplementazione (anche con dosaggi di micronutrienti superiori alle quantità giornaliere raccomandate), eventualmente con l’ausilio del supporto artificiale nei pazienti ospedalizzati.

Alessandro Visca
Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.