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covid nutrizione

La coagulopatia nel Covid-19. Il ruolo di enoxaparina

Nei soggetti ospedalizzati per forme moderate-severe di COVID-19, la somministrazione di enoxaparina alla dose intermedia è sicura rispetto alla dose di profilassi. Inoltre, è associata a una minore durata dell’ospedalizzazione (di oltre il 20%) e a un miglioramento dei sintomi (nel 65,3% dei casi).

È quanto emerge dai dati preliminari dello studio INHIXACOVID19, il primo approvato da AIFA dall’inizio della pandemia sull’eparina nel trattamento della malattia da Sars-CoV-2, nonché l’unico concluso finora. A presentare i risultati nell’ambito del recente Congresso SIMIT, tenutosi a Milano, sono stati gli autori dello studio, Pierluigi Viale, Benilde Cosmi, Maddalena Giannella, Andrea Stella, grazie a un simposio organizzato da Techdow Pharma Italy, azienda che ha collaborato alla ricerca.

È toccato al prof. Corrado Lodigiani, responsabile del Centro Trombosi e Malattie emorragiche dell’Istituto Humanitas di Milano, delineare il quadro complessivo della connessione tra la malattia da COVID-19 e l’insorgenza di micro- e macrotrombosi. È noto ormai che COVID-19 induce un’iperattivazione della cascata coagulativa, aprendo la strada in ultima analisi a manifestazioni trombotiche arteriose e venose, sia di tipo macrovascolare sia soprattutto di tipo microvascolare, con coinvolgimento prevalente dei polmoni, ma anche di altri organi.

Il meccanismo molecolare alla base di questa attivazione non è ancora ben definito, ma è verosimile una forte correlazione tra lo stato infiammatorio e quello coagulativo, con una significativa riduzione della fibrinolisi. È in questo contesto che occorre definire l’utilizzo ottimale degli anticoagulanti, come enoxaparina, nella prevenzione e nella terapia del COVID-19, tema dell’intervento di Benilde Cosmi, professoressa di Malattie dell’apparato cardiovascolare dell’Università di Bologna.

Fin dall’inizio della pandemia, l’OMS ha raccomandato la profilassi con eparina nei pazienti ricoverati in terapia intensiva. Il problema è che gli studi osservazionali di coorte hanno mostrato un’alta frequenza di complicanze tromboemboliche, soprattutto nei pazienti critici, nonostante una profilassi standard correttamente applicata. Per questo, si è proposto di aumentare le dosi rispetto a quelle standard di tromboprofilassi, sia nei pazienti critici sia in quelli non critici, con dosi terapeutiche o con dosi intermedie per bilanciare il rischio emorragico (per enoxaparina, metà delle dosi terapeutiche).

Un dato emerso da alcune metanalisi su studi retrospettivi è che la terapia anticoagulante era in grado di ridurre la mortalità ospedaliera fino al 50% nei pazienti non critici. In conclusione, le evidenze mostrano che nei pazienti critici è indicata la tromboprofilassi standard, mentre nei pazienti non critici ricoverati è ancora aperto il problema di quale sia la dose ottimale; infine per i pazienti non ricoverati sono ancora in corso studi clinici randomizzati.

Le prime risposte alle tante questioni sul tavolo vengono ora dai risultati preliminari dello studio INHIXACOVID19, illustrati da Maddalena Giannella, professoressa di Malattie infettive dell’Università di Bologna. Si tratta di uno studio condotto in 13 centri italiani per valutare, nei pazienti ricoverati con una malattia di gravità moderata-grave secondo i criteri OMS, la sicurezza e l’efficacia nel migliorare l’outcome clinico di una somministrazione a dosaggio intermedio di enoxaparina aggiustato per il peso corporeo, con controllo dei parametri coagulativi. Sono stati coinvolti 304 pazienti adulti: nel braccio di intervento, 101 soggetti hanno ricevuto enoxaparina a dosi comprese tra 60 e 100 mg/die; nel braccio osservazionale, 203 soggetti hanno assunto tutti 40 mg/die. Gli endpoint sono stati valutati a 30 e 90 giorni dall’inizio del trattamento: quello secondario era il sanguinamento maggiore (secondo i criteri ISHT); gli endpoint primari erano invece mortalità per tutte le cause, ricovero in terapia intensiva, gravità clinica nei vari momenti dello studio e durata dell’ospedalizzazione.
Complessivamente, non sono emerse criticità in termini di sicurezza cioè senza un aumento dei sanguinamenti maggiori, mentre per l’efficacia si registra un impatto favorevole sia sull’outcome clinico sia sulla la durata dell’ospedalizzazione.

Nel suo breve intervento Andrea Stella, professore emerito di Chirurgia vascolare presso l’Università di Bologna, ha ricordato infine l’evidenza sperimentale da cui è scaturita l’idea dello studio INHIXACOVID19: in un esperimento cinese in vitro, Sars-CoV-2 sembrava scomparire quando messo a contatto con alte dosi di enoxaparina, evidenziando un potenziale antivirale del farmaco, oltre alle note proprietà anticoagulative e antinfiammatorie. Pierluigi Viale, direttore dell’UO di Malattie infettive del Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna e coordinatore dello studio ha commentato:

Questo studio preliminare aveva una priorità, quella di verificare se in pazienti con COVID moderato-grave si potessero utilizzare, in condizioni di sicurezza, dosi di eparina più alte della dose profilattica normalmente somministrata: questo è stato raggiunto, non essendo emersi eventi di sanguinamento maggiore. L’obiettivo primario clinico era osservare l’effetto clinico della terapia: pur con un campione piuttosto ristretto di pazienti, è comunque emerso un trend in termini di riduzione dei giorni di degenza e di un più rapido ritorno a una malattia meno grave”.

“Come prossimi passi – ha concluso Viale – vorremmo condurre uno studio randomizzato su una più ampia popolazione con malattia da COVID, non solo per ribadire l’effetto anticoagulante e antitrombotico dell’enoxaparina, ma soprattutto per capire come sfruttare l’effetto antinfiammatorio del farmaco – sicuro, molto facile da maneggiare e con pochi effetti collaterali – in tutte quelle patologie a eziologia microbica in cui una risposta infiammatoria sostiene il rischio di mortalità”.

Alessandro Visca
Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.