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Tumori, ritardare le cure aumenta il rischio di mortalità

Ritardare l’inizio della terapia dopo una diagnosi di tumore può costare la vita. Un nuovo studio che ha analizzato i dati di milioni di pazienti con quattro tra i più comuni tipi di tumore conferma che più tempo passa dalla scoperta del tumore all’inizio delle terapia più aumenta il rischio per i pazienti. Un tema sicuramente molto attuale visti i ritardi nella diagnosi e nella cura dei tumori causati dall’emergenza Covid-19 e più volte denunciati da oncologi e associazioni dei pazienti.

Lo studio

La ricerca, pubblicata su Jama Network Open ha utilizzato i dati del National Cancer Database degli Usa relativi a circa 2,24 milioni di pazienti con diagnosi di cancro al seno non metastatico (52%), alla prostata (38%), al colon (4%) e al polmone non a piccole cellule (NSCLC, 6%) tra il 2004 e il 2015. I dati sul trattamento e sui risultati sono stati analizzati da gennaio a marzo 2020. Il tempo di inizio del trattamento (TIT), ossia l’intervallo tra la diagnosi del cancro e il ricevimento della terapia, è stato classificato in quattro gruppi: da 8 a 60 giorni (riferimento), da 61 a 120 giorni, da 121 a 180 giorni e da 181 a 365 giorni.

Il primo dato rilevato è che il tempo medio di inizio del trattamento per questi tumori è generalmente basso (32 giorni per il ca. della mammella, 79 giorni per la prostata, 41 giorni per il tumore al polmone NSCLC e 26 giorni per il cancro del colon). Tuttavia se il TIT sale, cresce anche la mortalità a 5 e 10 anni, in particolare per il cancro del colon e del polmone.

Per il cancro del colon in stadio III, la mortalità risulta del 38,9% a 5 anni e del 54% a 10 anni con TTI da 61 a 120 giorni, e sale al 47,8% e 63,8% rispettivamente, con TTI da 181 a 365 giorni. Ogni ulteriore ritardo di 60 giorni è stato associato a un aumento dal 3,2% al 6% della mortalità a 5 anni.

Per il NSCLC in stadio I, la mortalità prevista a 5 e 10 anni era rispettivamente del 47,4% e del 72,6%, con TTI da 61 a 120 giorni, e sale al 47,6% e 72,8% rispettivamente, con TTI da 181 a 365 giorni. Per questo tumore c’è un aumento assoluto dal 4% al 6,2% della mortalità a 5 anni se la cura inizia più tardi rispetto al riferimento (TIT da 8 a 60 giorni).

Per il cancro alla prostata ad alto rischio, la mortalità prevista a 5 e 10 anni era rispettivamente del 12,8% e del 31,2%, con un TTI di 61-120 giorni e sale al 14,1% e del 33,8%, rispettivamente con un TTI di 181-365 giorni.

I commenti

In un editoriale che accompagna la pubblicazione di questo studio Laura Van Meter Baum, della Divisione di Ematologia e Oncologia della Vanderbilt University, Nashville, Tennessee (Usa) e colleghi, fanno notare che questi dati devono spingere gli sforzi per l’eliminazione di ritardi non necessari nel trattamento e l’assegnazione di priorità alla cura tempestiva del cancro, anche durante la pandemia COVID-19, anche se  l’assistenza primaria, “il canale più importante per lo screening del cancro e la valutazione iniziale di nuovi sintomi”, è stata la più colpita e la più soggetta a interruzioni durante l’attuale pandemia di COVID-19.

“In molti centri – affermano gli autori – la fornitura di cure contro il cancro è stata interrotta e il problema di bilanciare adeguatamente l’urgenza delle cure per il cancro e la minaccia di esposizione a COVID-19 è uno dei più complessi della pandemia.”

Alessandro Visca
Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.