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Definizione dello status vitaminico D e cenni di epidemiologia

  • Alessandro Visca
  • Medicina

A cura di
Fabio Vescini MD, PhD
Direttore ff. SOC Endocrinologia
ASU FC – Dipartimento di Area Oncologica
P.O. Santa Maria della Misericordia di Udine

La vitamina D è una vitamina liposolubile essenziale per la salute dell’osso e svolge un ruolo importante in diversi processi fisiologici nel corpo umano. Diversi studi, anche italiani, hanno mostrato che la carenza di vitamina D (ipovitaminosi D) è molto frequente e, in taluni contesti, può raggiungere anche l’80%. Naturalmente l’ipovitaminosi D dipende da molti fattori, quali l’età, la latitudine alla quale si vive, il tempo di esposizione alla luce solare e, soprattutto, la stagione nella quale viene misurata la vitamina D.

I valori ottimali e i cut-off per definire gli stati carenziali possono variare leggermente a seconda delle linee guida: è ormai chiaro, infatti, che si debba distinguere fra valori ottimali nella popolazione generale sana e livelli da raggiungere in diverse condizioni patologiche, prime fra tutte l’osteomalacia, l’osteoporosi e l’iperparatiroidismo secondario.

Lo stato vitaminico D può essere valutato mediante un semplice esame del sangue, che vada a misurare la concentrazione plasmatica di 25-idrossivitamina D, abbreviato in 25(OH)D. Questo parametro, facilmente dosabile in laboratorio, rappresenta un metabolita intermedio nelle tappe biosintetiche della vitamina D che riflette abbastanza accuratamente la distribuzione della vitamina nel sangue.

Nella popolazione sana i valori ematici ottimali di vitamina D dovrebbero attestarsi al di sopra di 20 ng/ml e tale livello, oltre che con l’assunzione di preparati vitaminici, può essere raggiunto con un’adeguata esposizione alla luce del sole; va tenuto presente però, che il meccanismo cutaneo di formazione della vitamina D è estremamente efficace nel bambino e nel giovane adulto, mentre nelle persone anziane la capacità biosintetica diminuisce considerevolmente.

Al contrario nei soggetti anziani (specie quelli che vivono in casa di riposo e che escono poco di casa) e nei pazienti affetti da malattie metaboliche dell’osso, o da condizioni note per provocare ipovitaminosi D (obesità, gravidanza, anoressia, dieta vegana, insufficienza renale cronica, diabete, malassorbimento intestinale, fibrosi cistica), oppure in terapia con farmaci interferenti con il metabolismo/assorbimento della vitamina D, o, infine, in coloro che assumono farmaci per la cura dell’osteoporosi, i valori plasmatici di 25(OH)D devono essere almeno superiori a 30 ng/ml.

In linea teorica sembra facile potere raggiungere uno stato di vitamina D ottimale in una nazione assolata come l’Italia, ma i dati pubblicati in letteratura mostrano che proprio le nazioni del Sud Europa (Italia, Spagna e Grecia) sono quelle con la maggiore prevalenza di ipovitaminosi D nella popolazione. Ciò è sicuramente dovuto alle mutate condizioni di vita che portano sempre più persone a svolgere lavori al chiuso i quali, per loro natura, non garantiscono una sufficiente esposizione solare. Le nazioni del Nord Europa hanno già posto rimedio a questo problema mediante l’arricchimento di alcuni cibi e bevande con vitamina D, contrastando così la scarsa efficacia dei raggi ultravioletti propria delle latitudini più nordiche.

In collaborazione con IBSA

Alessandro Visca
Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.