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Obesita-addominale

Nuovi dati sull’obesità addominale come fattore di rischio cardiovascolare

L’obesità è un noto fattore di rischio per eventi cardiovascolari, come infarto e ictus; in particolare, l’obesità addominale sembra essere un parametro di valutazione del rischio cardiovascolare più robusto rispetto al semplice indice di massa corporea (BMI). Per misurarla è possibile ricorrere al calcolo dell’indicatore BRI (body roundness index) che combina i valori di circonferenza vita e altezza per descrivere la “forma” di una persona, e riflette meglio la proporzione di grasso corporeo e viscerale rispetto al BMI; secondo alcune ricerche, inoltre, oltre a essere un fattore predittivo del rischio di malattie cardiovascolari, sembra possa aiutare a determinare la presenza di resistenza all’insulina e di sindrome metabolica.

Un nuovo studio, pubblicato da poco sulla rivista Journal of the American Heart Association, ha valutato la relazione tra BRI e incidenza di malattia cardiovascolare tra gli anziani cinesi; si tratta del primo studio prospettico di grandi dimensioni disegnato per questo scopo.

Uno studio longitudinale su una popolazione di quasi 10mila persone

I ricercatori hanno valutato l’associazione tra l’indicatore BRI e le malattie cardiovascolari tra i partecipanti del China Health and Retirement Longitudinal Study (CHARLS), uno studio che raccoglie dati di adulti cinesi di mezza età e anziani. Lo studio ha analizzato i dati di oltre 9.935 adulti in Cina, con un’età media di 58 anni all’inizio dello studio, che non avevano ricevuto una diagnosi di malattie cardiovascolari tra il 2011 e il 2015.

Oltre all’anamnesi clinica e a valori pressori ed ematici sono state raccolte informazioni su caratteristiche demografiche, presenza di malattie cronica e fattori di rischio legati allo stile di vita. Eventuali eventi di natura CV sono stati autoriportati dai partecipanti durante il periodo di studio. Nel periodo 2011-2016 è stato tracciato l’andamento dei livelli di BRI nei partecipanti, per poi analizzarne le traiettorie di cambiamento nel tempo. Sulla base di questi valori il campione è stato suddiviso in tre gruppi, con bassa, moderata e alta stabilità del BRI.

La ‘rotondità’ corporea accresce il rischio di malattie cardiovascolari

Durante gli ultimi quattro anni di follow-up, dal 2017 al 2020, sono stati registrati 3.052 eventi cardiovascolari e 894 decessi.

L’analisi ha rilevato che traiettorie più elevate di BRI erano significativamente associate al rischio di malattie cardiovascolari. Con un BRI costantemente elevato, si è evidenziato un rischio maggiore di sviluppare malattie cardiovascolari, ictus o eventi cardiaci, indipendentemente da età, sesso o altre variabili.

Piu in dettaglio, il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari è risultato aumentato del 61% nel gruppo con BRI moderato e del 163% nel gruppo con BRI alto, rispetto ai partecipanti con BRI stabile a livello basso. Questa relazione è stata confermata anche dopo gli aggiustamenti statistici necessari per tenere conto dell’influenza delle caratteristiche demografiche e della storia clinica.

Anche dopo aver considerato la possibile influenza di pressione arteriosa, glicemia e colesterolo, il rischio cardiovascolare si è mantenuto superiore nei soggetti con valori di BRI moderati e alti. Inoltre l’incidenza di ictus ed eventi cardiaci è risultata significativamente maggiore nei gruppi con BRI moderato e alto.

Secondo Yun Qian, del Dipartimento per il controllo delle malattie croniche non trasmissibili (NCD) della Medical University di Nanjing:

i risultati dello studio indicano che il permanere di valori di BRI moderati-elevati, per un periodo di 6 anni, potrebbe essere utilizzato come un fattore predittivo dell’incidenza di malattie cardiovascolari. Alla base di questo c’è la correlazione tra obesità e ipertensione, livelli elevati di colesterolo e diabete di tipo 2, noti fattori di rischio cardiovascolari. In più, l’obesità comporta l’aumento del grado di infiammazione e innesca meccanismi che possono influire sulla funzione cardiaca. Ulteriori ricerche sono auspicabili per la piena comprensione di come questi risultati possano essere utilizzati per prevenire la malattia cardiovascolare”.

Redazione

articolo a cura della redazione