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Malattia renale cronica nel paziente con diabete tipo 2

La complessità del paziente diabetico con malattia renale cronica (CKD) richiede una gestione multidisciplinare e la cooperazione tra MMG e specialista nefrologo

a cura di: Cataldo Abaterusso
AULSS2 Marca trevigiana, Ospedali di Castelfranco Veneto e Montebelluna (TV)
Membro consiglio direttivo Società Italiana di Nefrologia

in collaborazione con logo-sin-250-1-copia

Il diabete mellito (DM) rappresenta ormai un problema di salute pubblica mondiale destinato a peggiorare nei prossimi anni a causa del progressivo invecchiamento della popolazione e di stili e abitudini di vita non sani, in particolare per l’insufficiente attività fisica e l’epidemia globale dell’obesità che interessa anche le fasce di popolazione più giovani.

La Federazione Internazionale del Diabete stima la prevalenza del DM intorno al 10-15% a livello globale con circa 537 milioni di persone di età tra 20 e 79 anni e con una previsione di incremento a 783 milioni entro il 2045 (1).  A fronte di questa devastante espansione globale, si prevede che nel 2040 il DM risulterà la settima principale causa di morte e la malattia renale cronica (CKD) la quinta (2). Oltre il 90% dei pazienti sarà affetto da diabete mellito di tipo 2 (DMT2). Il DM è una delle principali cause di CKD. DM e CKD sono fattori di rischio indipendenti per una ridotta sopravvivenza. Quando entrambi sono presenti nella stessa persona, il rischio di mortalità e di sviluppare malattie cardiovascolari (CV) si moltiplica.

In Italia, la prevalenza di DM risulta sensibilmente inferiore attestandosi tra il 5-6% (circa 4 milioni), con trend di incremento più modesto che nel resto del mondo (studio PASSI; ISS). Purtroppo, anche in Italia si assiste ad una distribuzione disomogenea del DM con maggiore prevalenza in alcune aree geografiche e nella popolazione con livello socio-economico inferiore, minore accesso alle cure, minore livello di studio e maggiore età (3).

In Italia, oggi, circa un paziente su 4-5 inizia la terapia dialitica a causa del DM. Inoltre la CKD interessa circa il 30% dei pazienti con DM tipo 1 e il 40% di quelli con DMT2. La maggioranza dei pazienti con CKD e DM, però, afferisce tardivamente alle cure del nefrologo (late referral), quando cioè la malattia renale ha ormai raggiunto gli stadi più avanzati che risultano meno suscettibili agli interventi terapeutici farmacologici e non farmacologici, in termini di rallentamento della progressione verso l’uremia terminale, riducendo così l’efficacia complessiva delle terapie disponibili.

L’approccio terapeutico alla CKD nel paziente con DMT2 si è radicalmente modificato negli ultimi anni grazie alla recente introduzione di farmaci innovativi ed efficaci nel rallentare la altrimenti inesorabile progressione di malattia cardio-renale. Tuttavia, la tardiva adozione di efficaci presidi terapeutici pregiudica il raggiungimento del beneficio massimale del trattamento riducendo così l’impatto sulla popolazione. La combinazione di questi nuovi farmaci con la terapia tradizionale consente oggi di ridurre la comparsa o la progressione delle principali complicanze della CKD (ipertensione, anemia, iperpotassiemia, eventi cardiovascolari) e ritardare, anche di anni, il raggiungimento dello stadio terminale dell’uremia (End Stage Kidney Disease; ESKD) e la necessità di iniziare la dialisi con conseguente aumento del rischio di morte, riduzione della qualità di vita e impegno di rilevanti risorse del SSN.

L’evoluzione della storia naturale della CKD nel diabete alla luce degli standard di cura attuali

La diffusione del DMT2, l’invecchiamento della popolazione generale e dei pazienti con DM, la diffusione di efficaci trattamenti farmacologici standard hanno complessivamente modificato l’espressione clinica della CKD el DMT2 offrendo al medico nuove sfide diagnostiche. Infatti la “classica” manifestazione clinica e istologica del danno renale del DM di tipo 1, descritta da Mogensen nel 1983, e definita nefropatia diabetica o glomerulosclerosi diabetica con la sua evoluzione clinica (attraverso i 5 stadi, dalla comparsa della microalbuminuria all’uremia), non sono oggi del tutto applicabili al quadro clinico del più anziano, comorbido e pluritrattato paziente con DMT2. I dati di NHANES 1988-2014 hanno infatti evidenziato una progressiva divergenza nei trend temporali tra la prevalenza dell’albuminuria (- 24% per la micro-, stabilizzazione della macro-) e il marcato incremento di eGFR ridotto (4).

Ciò suggerisce che la storia naturale della CKD nel DMT2 è eterogenea e che l’inizio e la progressione del declino della funzione renale possono decorrere indipendentemente dalla comparsa e progressione dell’albuminuria. In effetti, casistiche bioptiche di pazienti con DMT2, microalbuminuria e normale GFR avevano evidenziato una “eterogeneità” del quadro istopatologico renale (5).

Più recentemente, dati epidemiologici hanno evidenziato l’eterogeneità della storia naturale di questa complicanza, spingendo così a utilizzare il termine unificante di “malattia renale diabetica” (DKD) per comprendere tutte le espressioni cliniche renali dei soggetti diabetici (6). Deve essere tuttavia sottolineato che l’unificazione delle eterogenee espressioni di CKD nel DM tipo 2, potrebbe ingenerare una distorta semplificazione della complessa patogenesi del danno renale.

I “nuovi” fenotipi della CKD nel DM tipo 2

Negli ultimi due decenni è stata diffusamente confermata l’osservazione della prevalenza di un fenotipo di malattia renale caratterizzato da isolato GFR ridotto (<60 ml/min/1.73m2) non associato ad albuminuria in pazienti con DMT2, ma anche DMT1.

In aggiunta al “classico” quadro di nefropatia albuminurica, quindi, sono emersi due nuovi fenotipi, ovvero quello caratterizzato da “insufficienza renale non-albuminurica” (eGFR<60 ml/min/1.73 m2 e albuminuria normale) e quello con “declino renale progressivo”, che suggeriscono che la progressione della CKD verso l’ESKD, sia nel DM di tipo 1 che nel DM di tipo 2, può verificarsi attraverso due percorsi distinti annunciati da un aumento progressivo dell’albuminuria (ACR) e/o dal declino del eGFR, rispettivamente (7).

Dati da studi trasversali (NHANES 1988-1994) e longitudinali dimostrano che il fenotipo di CKD non-albuminurico risulta prevalente con percentuali che vanno dal 35 al 60-70% in base ai criteri utilizzati. Inoltre è emerso come il fenotipo di CKD non-albuminurico presenti, generalmente, un minor rischio di evoluzione verso l’ESKD, ma un maggior rischio di morte per cause CVD rispetto ai pazienti con fenotipo “classico” (8).

Accanto a questo quadro si riconosce una variante di CKD non-albuminurica con progressiva perdita di funzione la cui individuazione può derivare solo dallo slope del GFR da misurazioni seriate della creatinina. I “progressors” non-albuminurici sono caratterizzati da una riduzione del GFR >3ml/min/anno, laddove una “rapida progressione” del declino del GFR è rappresentata da una perdita >5ml/min/anno, in accordo con le linee guida KDIGO (9).

Presi insieme, questi risultati indicano che l’albuminuria e l’eGFR ridotto possono manifestarsi e procedere insieme o separatamente, come espressioni complementari o “gemelle” della CKD nel DM (10) e che ci sono due percorsi principali per l’insorgenza e la progressione della DKD, ovvero 1) albuminurico e 2) non-albuminurico.

Ciò potrebbe avere importanti implicazioni terapeutiche. Infatti, nel fenotipo albuminurico la perdita di eGFR è preceduta e guidata dallo sviluppo e progressione della microalbuminuria la cui riduzione può rallentare significativamente il declino della funzione renale. Nel paziente non-albuminurico, di cui CKD non-albuminurica e il “declino renale progressivo” sono due facce della stessa medaglia, la perdita di eGFR è indipendente dalla microalbuminuria e i trattamenti mirati a ridurla potrebbero essere meno efficaci (11).

Diagnosi di CKD nel paziente DMT2 e indicazioni per la biopsia renale

La CKD è definita come escrezione urinaria di albumina persistentemente elevata (>30 mg/g), eGFR persistentemente ridotto (<60 ml/min/ 1.73 m2), o entrambi, per più di 3 mesi, in conformità con le attuali linee guida KDIGO (12).

Le linee guida raccomandano di valutare sia l’albuminuria che l’eGFR per lo screening della DKD (diabetic kidney disease). L’albuminuria dovrebbe essere misurata preferibilmente come rapporto albumina-creatinina urinaria (UACR) in un campione di urina spot, in assenza di altri sintomi e segni urinari.

In considerazione della variabilità dell’escrezione urinaria di albumina, è opportuno ripetere la determinazione di ACR almeno 2-3 volte nell’arco di 3-6 mesi, sebbene un solo campione presenta una elevata concordanza del 90% con la media di 2-3 campioni (studio RIACE). L’eGFR deve essere stimato dalla misura della creatininemia utilizzando una formula validata, preferibilmente CKD-EPI.

L’emergere del fenotipo del declino renale progressivo suggerisce di monitorare l’evoluzione di eGFR nel tempo anche quando la funzione renale è ancora nel range di normalità. In questo caso è sufficiente almeno una misurazione all’anno della creatinina sierica per un periodo di 3–5 anni.

Sulla base del livello di albuminuria e di eGFR, i pazienti dovrebbero quindi essere stratificati per rischio secondo la classificazione KDIGO CKD, che serve come guida per la frequenza del monitoraggio e indica il rischio di progressione verso ESKD, ma anche di eventi CV (TABELLA 1).

Tabella 1 Categorie di rischio di morte e/o evoluzione alla fase dialitica,
frequenza del monitoraggio (numero di check-up/anno) e indicazione
al consulto nefrologico per gradi di severità della CKD

Fonte: estratto da: Bozza del Documento di indirizzo per il Percorso Preventivo Diagnostico
Terapeutico Assistenziale (PPDTA) della Malattia Renale Cronica. Ministero della Salute.

La diagnosi di DKD è essenzialmente clinica e può essere formulata in assenza di altre potenziali cause di CKD di natura non diabetica. Pertanto, in aggiunta alla determinazione della ACR è suggerita la valutazione dell’esame delle urine. Attualmente, la biopsia renale a fini diagnostici è indicata in caso di presentazioni “atipiche” che suggeriscono la presenza di altri disturbi renali che possono beneficiare di un trattamento specifico.

Le caratteristiche cliniche che suggeriscono il sospetto di una patogenesi non diabetica includono:

  1. l’insorgenza acuta di proteinuria clinica o in range nefrosico (≥3,5 g/die);
  2. il rapido peggioramento della funzionalità renale (in giorni o settimane);
  3. la durata del diabete <5 anni;
  4. l’assenza di retinopatia;
  5. la presenza di sedimento urinario attivo;
  6. sintomi o segni di altre malattie sistemiche.

Sebbene la prevalenza della malattia renale non diabetica nei soggetti diabetici sia <10%, questa possibilità dovrebbe essere considerata e una biopsia renale indicata in presenza dei criteri sopra elencati.

La sindrome cardio-renale-metabolica nel diabete mellito tipo 2

Nei pazienti con DMT2, il livello di compenso glicemico e la frequente coesistenza di fattori di rischio, come fumo, ipertensione e dislipidemia, aumentano sostanzialmente il rischio di complicazioni cardiovascolari e renali. In media, il DM tipo 2 riduce la durata della vita di 4-10 anni, soprattutto nei pazienti a esordio precoce e/o una storia di infarto miocardico o ictus.Il rischio cardiovascolare del paziente con DM tipo 2 condivide alcuni fattori comuni alla patogenesi del danno renale, attraverso la disfunzione endoteliale, infiammazione, stress ossidativo e fibrosi.

Le patologie cardiache, renali e metaboliche, componenti della sindrome cardio-renale-metabolica (CRM), sono le principali cause di morbilità e mortalità negli Stati Uniti, che si stima siano attualmente responsabili di circa 1 decesso su 3.

Le funzioni cardiovascolare, renale e metabolica sono profondamente interconnesse condividendo meccanismi patogenetici comuni. Questi sono riconducibili a fattori modificabili e non modificabili di rischio per CVD globale e renale. L’attivazione di questi eterogenei e interconnessi meccanismi patogenetici è seguita dalla perturbazione dell’omeostasi del sodio e attivazione neuro-ormonale, che determinano malattia cardiovascolare aterosclerotica (ASCVD), insufficienza cardiaca e malattia renale cronica (13). Nuovi e vecchi farmaci, i pilastri del trattamento delle complicanze metaboliche, cardiovascolari e renali, sono oggi disponibili per il trattamento del target patogenetico primariamente coinvolto nell’ottica della precisione e personalizzazione della cura (FIGURA 1).

Figura 1 Interconnessione dei meccanismi e processi patogenetici nel danno d’organo
renale e cardiovascolare del diabete mellito e relativi target di azione dei trattamenti farmacologici

Fonte: tratta da Lim L-L et al. Nature Reviews Endocrinology. 2023; 19: pag 154.

Poiché medesimi meccanismi patogenetici, che intervengono potenzialmente su ognuno dei componenti della sindrome CRM, possono essere il target di farmaci di recente introduzione (RAS-i, SGLT2-i, GLP-1RA o MRA), ne deriva che il clinico debba considerare fenotipo ed eterogenea patogenesi del singolo paziente con DM di tipo2.

Un recente studio nelle coorti NHANES (1999-2002 vs 2015-2020) ha confrontato la variazione temporale della prevalenza delle singole componenti di CRM e della loro combinazione nella popolazione statunitense riscontrando un incremento per il DM tipo 2 dal 3.9 al 6.9%; della overlap di CKD +DMT2 da 2.2% a 3.2% e delle tre componenti DMT2 +CKD +CVD dal 0.7 a 1.5% (per tutte le combinazioni, p <0.001). Le prevalenze risultavano ancora maggiori per i soggetti maschi di età >65 anni, in condizioni socio-economiche svantaggiate per i quali il trattamento risultava sub-ottimale per le statine e i RAS-i e addirittura marginale per SGLT2-i e GLP-1RA (14).

Terapia

Nel corso dell’ultimo decennio si sono moltiplicate le pubblicazioni di CVOTs trial (trial clinici di outcome cardiovascolare) per il trattamento delle complicanze CRM del paziente con DM tipo 2. I risultati dei trials, molto spesso interrotti prematuramente per motivi etici per chiara superiorità del trattamento attivo vs placebo, hanno interessato alcune delle più promettenti categorie di farmaci: SGLT-2i, GLP-1RA e MRA.

Le evidenze in ambito di prevenzione secondaria delle complicanze renali e CVD sono state riconosciute dalle società scientifiche internazionali e queste molecole sono oggi diventate, insieme ai RAS-i, i pilastri dell’armamentario terapeutico per i pazienti con CKD o CVD e DM tipo 2.

Le linee guida internazionali (KDIGO) raccomandano l’adozione di una strategia ad ampio spettro e multidimensionale per la riduzione delle complicanze renali e cardiovascolari, ribadendo l’imprescindibile ruolo della modifica delle abitudini e stile di vita prima della prescrizione farmacologica (12). Le indicazioni terapeutiche sono riassunte in TABELLA 2.

Tabella 2 Indicazioni di trattamento secondo le Linee guida KDIGO

Suggerimenti, raccomandazioni e precauzioni

La più efficace strategia per la gestione di un problema complesso che richieda la cooperazione multidisciplinare e multilevel tra MMG e specialista, si basa sulla condivisa ripartizione dei compiti e delle responsabilità (FIGURA 2).

Figura 2 Sinossi per l’approccio diagnostico ed il referral nefrologico del paziente con CKD e DM

Note: CKD, chronic kidney disease (malattia renale cronica-IRC); sK, potassiemia; sP, fosforemia; PTH, paratormone;
TSAT, saturazione della transferrina; ACR, albumin creatinin ratio; eGFR, estimated glomerular filtration rate

▶  Si raccomanda di controllare creatinina e di K sierici dopo 15 giorni dall’avvio di terapia con RAS-i o MRA.

▶  Si consiglia di ridurre la dose di diuretico in caso di aggiunta di SGLT2-i.

▶  Si consiglia di informare il paziente riguardo alle cosiddette “Sick Rules Day” al fine di prevenire eventi avversi jatrogeni gravi, eventualmente fornendo tesserino con le indicazioni:

  • sospendere metformina e RAS-i in caso di disidratazione da qualsiasi causa;
  • evitare uso di FANS in corso di trattamento con diuretici e RAS-i;
  • sospendere SGLT2-i preintervento chirurgico e/o prescrizione di digiuno o impossibilità ad alimentarsi.

I dati provenienti da trials randomizzati e controllati e quelli di ampie casistiche osservazionali di real life confermano i benefici a medio e lungo termine sui principali outcome cardio-renali-metabolici nei pazienti con DM. Ciò nonostante ancora una frazione limitata di pazienti ha accesso a queste efficaci terapie in grado di rallentare o prevenire complicanze invalidanti per il paziente con aggravio di impiego di risorse sanitarie per il trattamento delle ospedalizzazioni.

Un approccio “proattivo” per l’identificazione ed il trattamento precoce dei pazienti con CKD, diabetica e non, ad alto rischio di eventi cardiovascolari e di progressione alla dialisi, l’adozione di sistemi di monitoraggio semplici e a basso costo e la stretta integrazione delle azioni del MMG e dello specialista e la lotta all’inerzia terapeutica rappresentano armi efficaci da opporre alla dilagante epidemia del DM.

Bibliografia

  1. International Diabetes Federation. IDF Diabetes Atlas 10th edn (IDF, 2021).
  2. GBD Chronic Kidney Disease Collaboration. Global, regional, and national burden of chronic kidney disease, 1990-2017: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2017. Lancet. 2020 Feb 29;395(10225):709-733.
  3. Istituto Superiore di Sanità; Studio PASSI; https://www.epicentro.iss.it/diabete/epidemiologia-italia
  4. Afkarian M, Zelnick LR, HallYN, Heagerty PJ, Tuttle K, WeissNS et al. Clinical manifestations of kideny disease among US adults with diabetes. 1988-2014. JAMA 2016; 316:602-10.
  5. Fioretto P, Mauer M, Brocco E, Velussi M, Frigato F, Muollo B, Sambataro M, Abaterusso C, Baggio B, Crepaldi G, Nosadini Patterns of renal injury in NIDDM patients with microalbuminuria. Diabetologia. 1996 Dec; 39(12): 1569-76.
  6. Doshi SM, Friedman AN. Diagnosis and management of type 2 diabetic kidney disease. Clin J Am Sco Nephrol 2017; 12:1366-73.
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  8. Drury PL, Ting Rzannino D, Ehnholm C, FlackJ, Whiting M et al. Estimed glomerular filtration rate and albuminuria are indipendent predictors of cardiovascular events and death in type 2 diabetes mellitus: the Fenofibrate Intervention and Event lowering in Diabetes (FIELD) study. Diabetologia 2011; 54: 32-43.
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  10. De Boer IH, Steffes MW. Glomerular filtration rate and albuminuria: twin manifestations of nephropathy in diabetes. J Am Soc Nephrol 2007; 18:1036-7.
  11. Pugliese G, Penno G, Natali A, Barutta F, Di Paolo S, Reboldi G, Gesualso L, De Nicola L on behalf of the Italian Diabetes Society and the Italian Society of Nephrology. Diabetic kidney disease: new clinical and therapeutic issues. Joint position statement on “The nature history of diabetic kidney disease and treatment of hyperglycemia in patients with type 2 diabetes and impaired renal function”. J Nephrol 2020: 33: 9-35.
  12. Kidney Disease: Improving Global Outocmes (KDIGO) Clinical Practice Guideline for Diabetes Management in Chronic Kidney Disease. Kidney Int Suppl. 2022; 102: S1–S127.
  13. Lim L-L, Chow E, Chan JCN. Cardiorenal diseases in type 2 diabetes mellitus: clinical trials and real-world practice. Nature Reviews Endocrinology. 2023; 19:151-63.
  14. Ostrominski JW, Arnold SV, Butler J, Fonarow GC et al. Prevalence and Overlap of Cardiac, Renal, and Metabolic Conditionsin US Adults, 1999-2020. JAMA Cardiol. 2023; 8(11): 1050-1060.
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Redazione

articolo a cura della redazione

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