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otzi

Il microbioma degli occidentali è più povero di quello dei nostri antenati

Negli ultimi anni sono cresciute le evidenze sul ruolo che il microbiota intestinale svolge per il corretto assorbimento delle sostanze nutrienti e per l’attivazione del sistema immunitario, che ci permette di respingere virus e agenti patogeni.

La ricchezza e varietà della popolazione di batteri sono importanti per la salute del microbioma. Per questo si moltiplicano le ricerche sulla composizione del microbiota. Uno degli approcci più originali è costituito dagli studi di confronto tra il microbioma di diverse regioni del mondo e addirittura di epoche diverse, reso possibile dall’esame del DNA di reperti organici del passato.

Una straordinaria occasione per questo tipo di ricerca è stata offerta dal ritrovamento del cosiddetto Uomo di Similaun, più familiarmente chiamato Otzi. Si tratta della mummia di un uomo vissuto 5000 anni fa emersa, in eccezionale stato di conservazione, il 19 settembre 1991 da un ghiacciaio dell’Alta Val Senales, sulle Alpi al confine tra Italia e Austria.

Gli scienziati di Eurac Research, un centro di ricerca di Bolzano, hanno sequenziato il DNA dell’Uomo di ghiaccio e sono stati in grado di identificare il suo set di batteri, mentre i ricercatori dell’Università di Trento lo hanno confrontato con il microbioma di popolazioni contemporanee non occidentalizzate (della Tanzania e del Ghana in particolare), che hanno un’alimentazione priva di cibi trasformati e hanno pratiche igieniche e stile di vita non occidentalizzati.

Lo studio si è concentrato, in particolare, su Prevotella copri, un batterio comune nell’intestino umano presente nel 30% degli individui occidentali.

Lo studio pubblicato sulla rivista Cell Host & Microbe, ha portato a una conosccenza più approfondita della famiglia di questi batteri, rivelandone diverse componenti che non sono più presenti negli uomini che vivono nei paesi occidentali od occidentalizzati, ma si trovano in reperti preistorici o nelle popolazioni che conservano abitudini alimentari e di vita preindustriali.

La conclusione è che lo sviluppo della nostra civiltà ha portato a un sostanziale impoverimento del microbioma intestinale. I cambiamenti nella dieta, più ricca di grassi e povera di fibre, uno stile di vita sedentario in un contesto urbano, lo sviluppo di nuove abitudini igieniche e l’uso diffuso di antibiotici e altri prodotti medici hanno, senza dubbio, reso la nostra vita più sicura, ma ha influito sul delicato equilibrio del nostro microbioma.

“La relazione tra l’evoluzione della specie umana e la diversità dei microrganismi intestinali, come campo di ricerca, è ancora piuttosto inesplorata, ma può portare a risultati importanti in futuro attraverso l’analisi del DNA antico. Per questo motivo, trovare più avanzate e tecniche meno invasive per ottenere e analizzare il DNA da resti umani è una delle principali aree di ricerca di Eurac ” ha concluso il microbiologo Frank Maixner di Eurac Research .

 

Alessandro Visca
Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.