Come individuare quanti alimenti ultraprocessati (UPF, ultraprocessed food), definiti tali secondo il sistema NOVA che identifica gli alimenti in base al loro livello di lavorazione industriale (1), vengono assunti con la dieta?
Gli UPF altamente trasformati e con scarsa o nessuna pratica di lavorazione alimentare convenzionale comprendono non solo cibi come snack preconfezionati, carni lavorate o pasti già pronti, ma anche bevande analcoliche zuccherine (2).
Nonostante le molte raccomandazioni a privilegiare alimenti minimamente trasformati e ricchi di nutrienti, il moderno stile di vita occidentale spinge sempre più verso il consumo di alimenti ultraprocessati.
Per individuarne la quantità assunta con la dieta uno studio appena pubblicato su PLOS Medicine (3) da ricercatori del National Cancer Institute di Rockville in Maryland e da quelli dell’University of Sao Paulo del Brasile ha identificato 191 marker ematici e 300 urinari dai quali sono poi stati selezionati 28 metaboliti ematici e 33 urinari con i quali è stato messo a punto uno score che consente di farlo.
Dal 2012 al 2013 sono stati reclutati 1.082 soggetti con età compresa tra 50 e 74 anni, residenti a Pittsburgh e dintorni, di madre lingua inglese, con possibilità di accesso a internet, che non seguivano alcun tipo di dieta ed erano esenti da gravi patologie e limitazioni della mobilità.
Per seguire l’alimentazione dei partecipanti è stata usata una valutazione dietetica H24 autosomministrabile automatizzata (ASA-24).
Marker utili anche per futuri studi sugli alimenti ultraprocessati
Al di là dell’aspetto pratico di un controllo longitudinale dell’alimentazione con un semplice esame del sangue e delle urine l’identificazione di questi marker pone le basi per una concreta verifica degli effetti a lungo o medio termine di questi alimenti sulla salute. Diversi studi collegano infatti l’assunzione di UPF a obesità, malattie cardiovascolari, sindrome metabolica (4) e malattie neurodegenerative come quelle di Alzheimer (5) e di Parkinson (6).
Studi precedenti hanno indicato come l’aderenza a diete povere di UPF, in primis quella mediterranea, sia correlata a un minor rischio non solo di malattie neurodegenerative, ribadendo le linee guida USA sulla salute alimentare (7) che raccomandano un consumo minimo di questo tipo di alimenti che, costituendo un gruppo eterogeneo e diversificato, richiederanno molte indagini per individuare migliori metodi di lavorazione, di ingredienti e di additivi da usare nella catena dell’industria alimentare.
Uno studio pubblicato il mese scorso sull’American Journal of Preventive Medicine (8) indica che per ogni aumento del 10% di UPF nel cibo sale del 3% il rischio di morte anticipata per qualsiasi causa.
I risultati dello studio ora pubblicato su PLOS Medicine sono stati sottoposti anche a valutazione interna di confronto: per due settimane 20 dei partecipanti hanno fatto due diete diverse, una con UPF all’80% e l’altra che ne era completamente priva.
Al termine di ogni periodo di dieta nei campioni di sangue e urine i metaboliti marker erano effettivamente in linea con le quantità di cibo ultra-processato che i soggetti avevano assunto nelle due settimane precedenti. In un piccolo gruppo (4 persone) li hanno individuati anche se la dieta conteneva UPF al 30%. Un risultato a sorpresa è che li individuano non solo in chi ha un modello alimentare caratterizzato da un elevato consumo di UPF, ma anche da una bassa assunzione di cibi integrali, frutta e verdura fresca, un motivo di più a favore della dieta mediterranea.
Referenze bibliografiche
Monteiro CA et al. Public Health Nutrition 2019; 22(5): 936-941.
Monteiro CA et al. Public Health Nutri-tion 2017; 21(1): 5-17.
Abor L et al. PLOSMedicine 2025;
Ludwig DS. Jama 2011; 305(13): 1352-1353.
Lane MM et al. BMJ 2024; 384: e077310.
Wang P et al. Neurology 2025; 104(11).
DGA 2020-2025. DietaryGuidelines.org
Nilson EAF et al. American Journal of Preventive Medicine 2025; 68(6): 1091-1099.



